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È davvero possibile fare più test? L’Oms non è d’accordo e non è così semplice

È davvero possibile fare più test? L’Oms non è d’accordo e non è così semplice

L'assedio La fake news del Veneto che fa «i tamponi a tutti»

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 18 marzo 2020

La popolazione rimane chiusa in casa e i medici fanno miracoli di fronte a un numero ingestibile di pazienti. Eppure c’è chi sostiene che si debba fare di più. In particolare, bisognerebbe aumentare il numero di tamponi effettuati per diagnosticare l’infezione del coronavirus. In realtà, il numero di test compiuti in Italia è già molto elevato. Negli ultimi giorni si è arrivati anche a 15mila test al giorno.

Non siamo molto lontani dalle 20mila diagnosi effettuate dalla Corea del Sud. Ma il focolaio italiano è molto più esteso e quindi non bastano a mettere in quarantena tutti i possibili vettori dell’infezione finché il virus non è confinato, un’operazione apparentemente riuscita a Seoul.

L’immunologo Sergio Romagnani dell’università di Firenze negli ultimi giorni ha rilanciato il tema dal sito www.scienzainrete.it. Secondo lui la scelta di non sottoporre a test le persone asintomatiche è stata un errore: «Uno studio appena pubblicato dalla rivista Science dimostra che la trasmissione da persone asintomatiche in Cina prima della chiusura di Wuhan ha rappresentato l’86% dei contagi», spiega.

«Sappiamo che c’è una grande percentuale di persone giovani che, pur non avendo sintomi, sono contagiose, portano il virus negli ospedali, infettano gli anziani che poi devono essere ricoverati». Secondo Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore della sanità e membro della task force di esperti che sta guidando le strategie del governo, immaginare di fare tamponi anche alle persone senza sintomi è «irrealistico». «C’è un fondo di verità», dice Romagnani. «È irrealistico nelle regioni più colpite, che già hanno troppi test da fare. Ma sarebbe importante in regioni in cui l’infezione è ancora contenuta come la Toscana. Qui avremmo il tempo di individuare almeno una parte degli operatori, medici, infermieri che sono contagiati e non lo sanno».

Aumentare il numero dei tamponi però è difficile. I laboratori autorizzati a processarli sono solo una cinquantina e nella sola Lombardia si fanno tremila tamponi al giorno. Se si confrontano le curve di crescita dei casi e dei test si nota una differenza: mentre la prima cresce esponenzialmente, la seconda non tiene il passo.

Nell’ultima settimana, anzi, il numero di test giornalieri in Lombardia si è stabilizzato, come se si fosse raggiunta la massima capacità del sistema. I dati smentiscono che il Veneto stia facendo i test su tutta la popolazione, come da qualche giorno ripete qualcuno: è la regione che ne ha fatti di più ma i 35 mila test rappresentano meno dell’1% della popolazione, e ieri ne ha fatti solo 456.

I criteri adottati dall’Italia per stabilire chi sottoporre a test sono quelli stabiliti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e dal Centro europeo per il controllo delle malattie. Le agenzie internazionali prescrivono di fare il test solo alle persone con sintomi e di limitarsi alla sorveglianza e all’isolamento delle persone che sono state in contatto con loro. Lo ha ripetuto ieri Ranieri Guerra, del direttorato generale dell’Oms. «Non viene suggerito, al momento, di effettuare screening di massa. Semmai, l’Oms raccomanda di sottoporre a test gli operatori sanitari esposti al rischio contagio».

Le voci su nuovi test che in 15 minuti rivelano la presenza degli anticorpi rischiano di fare solo confusione: gli anticorpi si sviluppano quando il sistema immunitario ha già risposto alla malattia, non nella fase delicata dell’incubazione. Perciò i test rapidi non servono per la diagnosi precoce. Semmai, alla fine dell’epidemia permetteranno di sapere quale percentuale della popolazione si è infettata.

Paradossalmente, negli ospedali oggi è più urgente fare i test sui medici che sui pazienti. Mentre i medici rischiano di contagiarsi e trasmettere ai pazienti il virus, per i ricoverati il tampone spesso è una pura formalità. «Stiamo imparando a riconoscere i pazienti» spiega Roberto Rona, medico rianimatore all’ospedale di Monza in una videoconferenza organizzata dall’istituto «Mario Negri». «Per noi chi ha insufficienza respiratoria e sintomi influenzali è positivo a prescindere, poi sono praticamente tutti confermati. Ormai il tampone lo usiamo al contrario, per escludere i casi se il risultato è negativo».

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