«Il populismo è la malattia del nostro tempo: restare indipendenti è difficile, ma se anche uno solo di noi decidesse di restare in Serbia, basterebbe a demistificare la propaganda, le bugie e ogni forma di fascismo». Risponde così lo scrittore Dušan Velickovic, che a Belgrado ha deciso di restare, alla domanda sulla fuga di cervelli dai Balcani.
Siamo ospiti di Davide Scalmani, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a due passi dal museo dedicato all’inventore Tesla. Accompagnato da Eugenio Berra, che sei anni fa ha lasciato Milano per trasferirsi a Sarajevo e poi in Serbia dov’è il referente dell’agenzia «Viaggiemiraggi», Dušan ha letto passaggi del suo Serbia Hardcore (pp. 178, euro 16), una raccolta di storie brevi che danno un’idea di quanto sia stata difficile la transizione dopo il disfacimento della Iugoslavia. Il volume è disponibile in italiano per l’editore leccese Besa, insieme a Balkan Pin-Up (pp. 140, euro 14) in cui il lettore s’immerge nella vita dell’autore e negli ultimi settantanni di storia di questa regione. Balkan Pin-Up è il titolo dell’ultimo racconto in cui cruciale è la data del 28 giugno: festa di San Vito, ma anche la battaglia di Kosovo Polje nel 1389, l’attentato a Francesco Ferdinando nel 1914, il tratto di Versailles con cui si concluse la Grande guerra, la risoluzione dell’Informbiro che scatenò il conflitto tra Tito e Stalin nel 1948, e giorno in cui, nel 2013, il Consiglio d’Europa decide di dare inizio ai negoziati per l’adesione della Serbia all’Europa.

Quanto è importante conoscere la storia per comprendere i Balcani?
La lettura preliminare dovrebbe essere Una breve storia dei Balcani di Mark Mazower. Solo dopo suggerisco i classici Ivo Andric e Miroslav Krleza, e poi i contemporanei Dragan Velikic, Svetislav Basara e i tanti altri.

Un tema ricorrente è la guerra: quali conseguenze ha avuto su scrittori e intellettuali?
I conflitti nell’ex Iugoslavia hanno distrutto l’illusione di una comunità intellettuale caratterizzata dall’umanesimo e dalla solidarietà. Fin dall’inizio delle guerre, la maggior parte degli intellettuali e degli scrittori aderì alle diverse ideologie nazionalistiche e alla propaganda. Oggi nei Balcani ci sono ben pochi intellettuali indipendenti e il loro impatto sulla società è marginale.

Quale memoria resta dei bombardamenti della Nato?
I ricordi delle bombe sono vivi tra la maggior parte dei serbi. Ognuno ha la sua storia, la propria memoria. Esperienze personali, traumatiche: come ogni trauma, vengono spiegate o deformate in un modo che non ha nulla a che vedere con la realtà. Cancellare la verità circa le cause e le conseguenze dei bombardamenti può essere utile per una società traumatizzata.

In quale misura e con quali modalità I libri di scuola raccontano agli allievi serbi quella guerra? A chi viene addossata la responsabilità del conflitto?
La scuola crea confusione, perché non c’è consenso sociale né politico circa le colpe e le responsabilità. In breve, si biasimano gli altri.

Nel suo libro «Hardcore Serbia», lei racconta la guerra: ritiene sia dovere dello scrittore scrivere di conflitti?
Lo scrittore può scrivere di amore, di eventi storici lontani nel tempo, oppure di questioni intime slegate dal presente. Ma difficilmente potrà ignorare eventi sconvolgenti come le guerre. In Serbia Hardcore e in altri mie opere, il conflitto resta sullo sfondo mentre in primo piano emergono i destini personali disegnati a tratti tragici e a volte ironici. Mi ha sempre interessato la relazione tra le storie individuali e la grande Storia.

Quest’anno il Nobel per la letteratura non sarà assegnato. Se lei fosse nel comitato quale nome proporrebbe?
Purtroppo Philip Roth è recentemente scomparso, senza aver ricevuto il Nobel. Ci sono molti che meriterebbero il premio, tra cui Ismail Kadare, Claudio Magris, Frédéric Beigbeder, Ian McEwan, Michel Houellebecq. Personalmente, preferirei che tra i candidati figurasse qualche scrittore meno noto, come il mio amico australiano Frank Moorhouse.

A che cosa sta lavorando?
Ho appena terminato Django e i cloni, in cui scrivo degli anni Settanta e Ottanta, nonché di eventi recenti. Come al solito, il libro contiene elementi autobiografici: uno degli eroi è il mio amico Zoran Djindjic, il premier serbo assassinato nel 2003. Sarà pubblicato dai tipi di Laguna di Belgrado, per la traduzione italiana ha manifestato un interesse l’editore Bottega Errante che a ottobre darà alle stampe la traduzione del mio Bella, ciao con il titolo Generazione Serbia.