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Durigon verso la porta e Giorgetti lo spinge

Durigon verso la porta e Giorgetti lo spinge

Governo Il ministro leghista sul sottosegretario nostalgico di Mussolini: chi sta al governo deve stare molto attento quando parla. Salvini si è arreso: lo incontrerò e vedremo insieme come evitare altri mesi di polemiche. Lui tace ma chi gli è vicino dice: se glielo chiede il partito si dimette

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 26 agosto 2021

«Claudio è un uomo leale verso la struttura», dice una fonte assai vicina a Durigon, il sottosegretario leghista all’economia finito nei guai per aver proposto di recuperare la dedica ad Arnaldo Mussolini del parco pubblico di Latina, al posto dell’attuale intitolazione a Falcone e Borsellino. Dopo tre settimane di richieste di dimissioni da parte di Pd, M5S e Leu, Draghi ha chiamato Salvini a palazzo Chigi e gli ha chiarito che l’unica alternativa alle dimissioni del sottosegretario è la più umiliante revoca delle deleghe. E Salvini ha iniziato la retromarcia. Martedì ha detto che la decisione sarà della Lega, ieri ha annunciato che nei prossimi giorni incontrerà Durigon per affidare a lui la scelta, così da concedergli l’onore delle armi. Il sottosegretario è in silenzio stampa, ma uno degli uomini a lui più vicini assicura: «Se la struttura glielo chiederà, Claudio non porrà problemi».

Dimissioni dunque, prima che riapra il parlamento e molto prima che venga calendarizzata la mozione di censura annunciata da dem e grillini. Una parte della Lega, quella con le radici a nord e più legata a Giorgetti lo pensa da tempo, anzi avrebbe preferito che nel governo Draghi entrasse l’ex sindaco di Padova Bitonci (già sottosegretario all’economia nel governo Conte uno) al posto dell’ex sindacalista dell’Ugl Durigon. E ieri dal meeting di Rimini Giorgetti è stato assai esplicito. «Un membro del governo – ha detto – si dimette perché lo chiede il presidente del Consiglio o perché glielo chiede il segretario del partito che lo ha indicato o perché glielo suggerisce la coscienza». Escludendo la terza opzione, visto che Durigon ha tentato una goffa autodifesa che in realtà ha peggiorato le cose («penso che le radici di Latina non vadano cancellate»), dopo di che si è chiuso nel silenzio sperando di veder passare la bufera – le prime due circostanze si verificano entrambe. Draghi lo vuole fuori dal governo e Salvini glielo chiederà. Ma con tutti gli onori. «Durigon è persona che stimo ai massimi livelli – ha detto anche ieri il capo leghista – mi vedrò con lui per evitare altri mesi di polemiche e valuteremo come andare avanti. Ci vedremo nei prossimi giorni in totale serenità».

La differenza con Giorgetti resta evidente. Se Salvini prova ancora a sposare la giustificazione del sottosegretario nostalgico – «è l’ultimo che può essere accusato di fascismo, è semplicemente figlio e nipote di coloni veneti che furono trasferiti nelle terre dell’agro pontino bonificate» – il ministro Giorgetti è lapidario: «Quando si ha una responsabilità di governo bisogna stare molto attenti a come si parla».
Dunque il destino è segnato, resta solo da fissare la data dell’incontro con Salvini e definire l’incarico nel partito che il capo leghista gli affiderà a (scarsa) compensazione. Il tutto molto prima che riapra il parlamento e anche prima della fiera del peperoncino di Rieti il 3 settembre alla quale avrebbe dovuto intervenire Durigon. Ma da sottosegretario

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