Duecento arresti in 48 ore. Esplosione a Diyarbakir
Turchia Erdogan accusa il Pkk e la «struttura parallela» di Gulen
Turchia Erdogan accusa il Pkk e la «struttura parallela» di Gulen
Duecento membri dello Stato islamico «resi inoperativi» in 48 ore. Cinquecento postazioni colpite e attaccate con cannoni e tank in Siria e Iraq. Con queste espressioni il premier turco Ahmet Davutoglu ha illustrato ieri, durante un incontro con gli ambasciatori turchi ad Ankara, «la posizione determinata» assunta dall’esecutivo contro l’orgnizzazione jihadista, a seguito dell’attentato suicida che ha colpito Istanbul martedì scorso. Davutoglu ha assicurato che gli attacchi continueranno fino a quando il gruppo non abbandonerà le aree di confine del Paese.
Mentre l’opinione pubblica turca continua a interrogarsi sul perchè lo Stato islamico (Isis) non abbia rivendicato l’attacco, il ministro dell’Interno Efkan Ala ha comunicato che il numero degli arresti dei presunti membri Isis collegati dalle autorità all’attentato di Sultanahmet è salito a sette. Ma nel Paese l’escalation di violenza è continuata anche nelle tarde ore di mercoledì.
Un’autobomba è stata fatta esplodere a distanza in una postazione di polizia a Cinar, un distretto della provincia sudorientale di Diyarbakir, uccidendo 6 persone, inclusi tre bambini. L’attacco, attribuito dalle autorità al Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), rappresenta l’ennesima ferita aperta nella zona già martoriata dagli scontri tra gli autonomisti curdi e le forze dell’ordine turche che da diverse settimane hanno raggiunto i centri urbani della regione. E il premier Davutoglu ha infatti ribadito che la lotta all’Isis andrà di pari passo a quella condotta contro il Pkk come quella mandata avanti contro «la struttura parallela» – il nome adottato dall’esecutivo e dal presidente Tayyip Erdogan per definire il movimento dell’imam e magnate Fethullah Gulen, incluso da oltre un anno nella lista terrorismo del governo.
«È necessario tenere in considerazione il collegamento di questa organizzazione con l’organizzazione terroristica (Pkk, nda)», ha poi aggiunto il premier, ricordando che «il 2015 è stato un anno in cui siamo stati costretti a lottare contro diverse crisi» non escluse «le attività accusatorie degli armeni».
Il premier si è infine scagliato anche contro il gruppo degli «Accademici per la pace» (Baris icin Akademisyenler, in turco) che ha chiamato l’esecutivo a riprendere le trattative di pace con i curdi.
«Dopo aver assistito agli esempi in Siria e Iraq, frantumati a causa delle richieste identitarie, non mi cimenterò in dibattiti intellettuali con chi vuole mettere la Turchia nella stessa situazione, anzi li combatterò in quanto premier della repubblica turca», ha affermato Davutoglu, garantendo che «ciascuno avrà quanto meritato in questa lotta». Ma secondo diversi osservatori questo «atteggiamento» e «linguaggio volto alla violenza» espresso dal premier, come dal presidente Erdogan, sono ben lungi dal potere creare un terreno adatto a risolvere la drammatica situazione in cui si trova la Turchia.
«Si è dentro a un tale clima di violenza che il Paese è diventato aperto agli ‘atti terroristici’», scrive su Radikal il gionalista Cengiz Candar. «Ma i governanti lungi dall’aver imparato una lezione dagli ‘atti terroristici’ ha inasprito il proprio linguaggio, rendendolo sempre più violento (…) E con tutto ciò non ha preso di mira ‘la fonte più importante del terrore’ ossia l’Isis, dando invece man forte ad ‘un’azione per schiacciare e tenere sotto pressione i curdi’, giustificandosi con la ‘lotta al Pkk’» scrive il giornalista aggiungendo che «nemmeno l’attentato di Sultanahmet ha creato una rottura in questa linea. Per questo motivo, la ‘situazione’ in cui ci troviamo risulta molto più grave dell’attacco di Sultanahmet».
Intanto, a complicare la situazione, sopraggiungono anche nuove teorie complottistiche avvallate dalla stampa pro-governativa, come il quotidiano Sabah che – basandosi sull’arresto di tre presunti membri Isis di nazionalità russa – ha indicato la Russia – in combutta con l’Iran e il regime di Bashar al Assad – come il responsabile dell’attacco di Sultanhmet. La teoria secondo cui la Russia non vorrebbe che l’Isis fosse danneggiata trova eco anche nelle affermazioni del premier turco che si è «lamentato» del fatto che dopo l’abbattimento del bombardiere russo l’aviazione turca non può di fatto più entrare nello spazio aereo siriano «per bombardare l’Isis».
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