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Due scritture all’insegna del dio Pan: Tuena, Doninelli

Due scritture all’insegna del dio Pan: Tuena, DoninelliCornelis van Poelenburgh, Nymphs and Satyr, prima del 1667, Londra, Dulwich Picture Gallery

Non-fiction italiana Ambiguità, seduzione, ombre, eccessi, ninfe... Inchiesta letteraria e iconografica di Filippo Tuena (In cerca di Pan, Nottetempo), e l’autobiografico Panico di Luca Doninelli (Editoriale Scientifica)

Pubblicato più di un anno faEdizione del 18 giugno 2023

«La paura, come l’amore, può diventare un richiamo per la coscienza» scrive James Hillman a proposito di Pan. Ma sembra che il dio dal piede caprino non sia più tra noi. L’ha annunciato Plutarco nel De defectu oraculorum dei Moralia, dove si affaccia l’inquietudine di una civiltà al tramonto.

Ma se Pan è morto anche le ninfe sono partite. E qui torna utile T.S. Eliot, il poeta della Terra desolata, altro documento di crisi di un mondo peraltro radiografato lo scorso anno da Filippo Tuena, e dove Pan riemerge nella sessualità rimossa dell’autore americano tutto intento a tessere un’elegia per l’amico Jean Verdenal.

Tuena non è nuovo a quel mondo d’ombra, sottilmente ambiguo e attraversato dal gioco della seduzione, fatto di folletti (il Puck shakespeariano di Com’è trascorsa la notte non assomiglia a Pan?), di ninfe galanti e del desiderio scabroso rappresentato dal dio compagno di Dioniso. Forse perché la possessione è una forma di conoscenza sempre rincorsa e perennemente smarrita.

Il punto è che la sapienza oracolare sembra ormai declinante (era questo il nucleo plutarchiano), esausta: la Sibilla di Petronio e poi eliotiana non riesce a morire, degradata com’è nella metamorfosi di una cartomante ottusa e nel Tiresia che altro non può vedere (e pre-soffrire) che amplessi di una noia mortale. Serve tornare a esperire una potenza che travolge, tornare alla narrativa che deborda anche nell’immagine, nell’apparato iconografico, utilizzato da Tuena come parte integrante della scrittura per accenderla e lacerarla. Partiamo allora da un dettaglio del suo In cerca di Pan (Nottetempo, pp. 168, euro 18,00), perché il frammento è centrale nella poetica di Tuena. E il dettaglio riguarda l’artista olandese van Poelenburch, che dipingeva l’eterno inseguimento delle ninfe da parte dei satiri («simili in questo a Ovidio», scrive Tuena), «affidando alla figura del satiro / una sorta di autoritratto in metafora».

Quello dello scrittore romano è il ciclico percorso a ritroso di chi finirà per assumersi il destino dell’esiliato Ovidio, l’ironico e ammiccante poeta elegiaco che forza i confini del genere letterario: un viaggio che fa trasparire infiniti viaggi e, ricordando Mandel’štam, modella il verso del poeta sulla misura del piede. Il narratore non è solo, soprattutto colpisce la figura di una dileguante Artemide, moderna e spietata ninfa a mollo nella Iacuzzi che ascolta i racconti degli altri viaggiatori attraverso lo spiraglio di una porta socchiusa (quello sguardo interdetto). Arrivati a Costanza (dove Ovidio scontò il suo esilio), i passeggeri assistono al funerale di Pan e Artemide/Selene: quella morte rituale diventa esigenza di verità – la comitiva ha fatto tappa alla fonte Castalia, luogo di un altro oracolo (apollineo), la Pizia, ma caro anche a Pan –, è esigenza di verità che spoglia il mito degli orpelli romantici di modo che lo scrittore sia tramite perché ciò che è esistito traspaia nel residuo: cenere che canta. Lo scrittore si inabissa, dunque, per farsi testimone di quella persistenza.

Sembra invece tutto nella luce, Luca Doninelli, nella razionalità e nell’armonia della musica che cade sotto il dominio di Apollo: panico e musica sono «nemici giurati», scrive, e ha ragione pensando alla cetra ma non al flauto, non ai cortei dionisiaci o al Prélude à l’après-midi d’un Faune di Debussy.

Eppure l’ultimo suo libro si apre e si intitola all’esperienza del Panico (Editoriale Scientifica, pp. 181, euro 15,00). Pan è dio dell’ombra, dell’eccesso che si esplica nel terrore angoscioso e nella sessualità selvaggia, il capro che si nasconde e insegue, osserva e si slancia nel possesso connesso non a caso all’être de fuite per antonomasia e da cui non si può separare, cioè la ninfa: a lei era dedicato il libro del 2019 di Fabrizio Coscia, direttore della collana «S-Confini» che accoglie ora Doninelli e il cui progetto di scrittura si vota a uno spazio ibrido di attraversamenti che ripudia le forme della narrativa tradizionale.

La ninfa, fuggendo, altro non fa che testimoniare l’eterna corsa del dio che finisce però per rincorrere sé stesso, è desiderio intransitivo, e perciò si scopre a conoscersi nell’atto di conoscere, nel movimento dell’autocoscienza indicato da Hillman e che Doninelli realizza chiamando alla sbarra il corpo, con quella sua paura della finitezza e della morte, mentre un grido si alza nel silenzio del caprino mezzogiorno a denunciare la brama unica e spasmodica della gioventù – ché altro non vogliono l’arte e l’artista se non ritardare il più possibile l’ingresso nella maturità e quel gusto amaro del limite e del decadimento. È Pan, il suo volto che emerge, le corna come segnavia di una terra squassata dal paradosso degli elementi cozzanti, in attrazione e repulsione, a mostrare il fondo tragico dell’essenza dell’uomo. Inutile pensare di poter rimuoverne l’esperienza o sublimarla, è necessario farsi soffocare e cadere nel «sotto-sopra» (buona metafora di Doninelli mutuata dalla serie Stranger Things per denotare la caratteristica degli attacchi di panico), provando il distacco, l’isolamento e l’interruzione di contatto impliciti nel Labirinto, dove il senso di minaccia è incombente.

Epperò, il sogno dell’artista è simile a quello del santo, scrive Doninelli rifacendosi a don Giussani: il disvelarsi del tessuto ultimo delle cose. Solo che l’artista tende a scansare l’esperienza della croce. L’ultima parola di Doninelli è tutta tesa a Dio, una preghiera che sbiadisce il volto di Pan, ma non quella geografia psichica abitata dalle esperienze che lo scrittore squaderna aprendosi alla nudità che innerva la scrittura, ormai cane sciolto al di fuori del mondo delle Lettere che si interroga sulla libertà del suo essere e del suo fare. Il tutto però sperimentato grazie alla frattura dell’esperienza panica.

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