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«Due migranti affogati sotto i nostri occhi»

«Due migranti affogati sotto i nostri occhi»

Parla Mauro Seminara, lampedusano di Sos Mediteranée, l’ong che finanzia la nave Aquarius «Quando siamo arrivati il gommone era già afflosciato come nella foto che abbiamo scattato, imbarcava acqua e aveva il motore in avaria. Se fossimo arrivati mezz’ora più tardi sarebbero tutti […]

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 20 aprile 2016

«Quando siamo arrivati il gommone era già afflosciato come nella foto che abbiamo scattato, imbarcava acqua e aveva il motore in avaria. Se fossimo arrivati mezz’ora più tardi sarebbero tutti morti, inghiottiti dal mare».

Mauro Seminara, palermitano di Lampedusa, di Sos Mediterranée Italia racconta quella che è stata l’operazione di salvataggio più difficile da quando la nave Aquarius ha iniziato a pattugliare il Canale di Sicilia e le acque internazionali di fronte alla Libia nel febbraio scorso: domenica scorsa, 108 sopravvissuti, tutti giovani uomini provenienti dai più diversi paesi dell’Africa a sud del deserto del Sahara.

La nave Aquarius, lunga 67 metri, con al timone il comandante Klaus Vogel -ex comandante di mercantili che si è trovato coinvolto in tragedie della migrazione e ora è il leader di Sos Mediteranée – è la più grande delle tre imbarcazioni «private», finanziate dalla società civile tramite ong, che fanno operazioni di ricerca e salvataggio a mare di migranti coordinandosi con il comando della capitaneria di porto italiana. Le altre due sono l’ex peschereccio Sea Watch dell’imprenditore tedesco Harald Höppner e la svettante goletta Phoenix del progetto Moas dei coniugi Regina e Christofer Catrambone, magnati italo-americani residenti a Malta.

«Ci abbiamo messo due ore, facendo la spola con i due motoscafi di appoggio – riprende il racconto di Mauro Seminara – dovevamo girare intorno al gommone, cercare di prenderli per il verso migliore perché non imbarcassero altra acqua e non cadessero fuori bordo, loro si muovevano, in ansia, e c’erano onde alte due metri tutto intorno». Erano quasi tutti saliti sulla nave-madre, dove li attendeva l’équipe medica, quando, alleggerito dal peso, il gommone bianco si piegato in due, con le estremità in aria e la parte centrale sott’acqua.

È stato a quel punto che i tre ultimi rimasti sopra in attesa dei soccorsi, presi dal panico, si sono buttati in mare. «Pochi secondi, uno siamo riusciti a prenderlo, due sono stati risucchiati giù», è il drammatico racconto di Mauro, che dice che la squadra di soccorso non ha fatto in tempo neanche ad avvicinarsi: sono scivolati nelle profondità come sassi.

Com’è possibile? pur non sapendo nuotare, anche solo battendo i piedi, per un po’ si sta a galla.

Avevano le gambe a mollo quasi da quando sono partiti, dal porto libico di Sabratha, loro dicono una settimana prima ma in mare si perde anche il senso del tempo e potrebbero essere quattro come 14 giorni. Subentra l’ipotermia e l’atrofia muscolare. I subsahariani non sanno nuotare ma in quelle condizioni e con le onde alte due metri il mare non dà scampo a nessuno.

Contando questi due che vi sono sfuggiti dalle mani i morti di questo naufragio quanti sono?

Loro hanno detto di essere partiti in circa 130-140 da Sabratha, non sono sicuri del numero totale ma ne hanno persi almeno una ventina durante la navigazione: chi sveniva o si addormentava cadendo. Quando gli ultimi tre sono saltati in acqua, pensavamo che il gommone galleggiasse invece è sprofondato a vu, sulla traversa centrale era appesantito dai sei morti, probabilmente scivolati e calpestati dai vivi. Non abbiamo potuto recuperare nessun corpo.

Se non foste arrivati quanto avrebbero potuto sopravvivere così?

Probabilmente non più di mezz’ora. La sala operativa delle capitanerie ha allertato l’Aquarius perché era la più vicina. E la più attrezzata.

Eravate a 20 miglia dalla Libia, vi spingete anche più sotto costa?

Non oltre le 15 miglia, oltre intervengono le navi della Marina militare o di Frontex. Ma quando questi gommoni malriparati o le finte barche da pescatori, fatte di legno fresco, non adatte al mare, escono dall’autostrada marina che va dalle piattaforme alle navi cisterna del petrolio, è facile che perdano l’orientamento.

E gli scafisti?

Non ci sono più gli scafisti. Questi africani sono per loro merce avariata, già derubati di tutto nei centri di detenzione in Libia, quando sono troppi o malati li buttano in mare con una modalità da smaltimento. Non vedo come possano contrastarli con missioni navali come Sophia e Triton, dovrebbero farlo a terra. In mare è possibile solo il respingimento di migranti ed è vietato da Strasburgo.

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