Due Islam e un popolo preso tra due fuochi
Settarismo Religioso Fino a due anni fa i siriani vivevano insieme incuranti di fedi e religioni. Oggi si combattono su basi confessionali
Settarismo Religioso Fino a due anni fa i siriani vivevano insieme incuranti di fedi e religioni. Oggi si combattono su basi confessionali
In poco più di due anni di conflitto in Siria, si contano almeno due milioni di sfollati. Una fuga dalle violenze massiccia e forzata in cui sta giocando un ruolo anche il timore di persecuzioni o rappresaglie a sfondo confessionale, perché questa guerra civile si sta connotando per la contrapposizione tra Islam diversi: gli alawiti e gli sciiti che sostengono il presidente Bashar al Assad, che è un alawita, e i sunniti che combattono per rovesciare il regime, nelle cui file si contano anche gruppi islamisti.
Un settarismo che ha radici lontane e che riflette uno scontro religioso e geopolitico che ha preso piede in Medio Oriente; basti pensare all’Iraq, sempre più spesso richiamato come termine di paragone per quanto accade, e accadrà, in Siria. Nel teatro di guerra siriano dalla parte di Assad ci sono due entità sciite, l’Iran e gli Hezbollah libanesi, questi ultimi schieratisi apertamente a fianco alle Forze armate governative, mentre contro il presidente combattono molti gruppi armati sunniti (anche nelle loro file ci sono stranieri) sostenuti dall’Arabia Saudita.
Tra i due fuochi c’è un popolo che fino a due anni fa abitava villaggi e quartieri dove sciiti e sunniti convivevano, certo non sempre senza problemi, ma senza la minaccia di persecuzioni che in questi mesi di guerra sono state attribuite a entrambe le parti. All’inizio di maggio i soldati di Assad sono stati accusati del massacro di circa duecento persone nella città di Banias, a maggioranza sunnita, e nel vicino villaggio di Baida, entrambi confinanti con aree alawite e, infatti, gli alawiti scappano verso le zone costiere.
Ma anche gli insorti sono stati accusati di attacchi di stampo settario per l’uccisione, all’inizio di giugno, di oltre trenta persone nel villaggio sciita di Hatla, nella provincia Deir al-Zor. Verificare le notizie che giungono dalla Siria è arduo e certo c’è chi alimenta la teoria della guerra settaria, quando spesso le ragioni delle stragi sono semplicemente politiche e militari.
L’effetto sulla popolazione è però drammatico e potrebbe modificare per sempre la composizione demografica di città e regioni, forse anche questo un obiettivo politico e militare. Dopo la strage Banias è divisa in due: nella zona nord gli alawiti e in quella sud i sunniti. Questi ultimi si sentono meno al sicuro anche per la presenza sul territorio degli shabiha, le milizie di Assad accusate di crimini contro i civili.
Ma se è vero che i sunniti cercano riparo in aree a prevalenza sunnita e gli alawiti e gli sciiti fanno lo stesso, le rotte che seguono gli sfollati sono probabilmente dettate soprattutto da ragioni di sicurezza. Le città alawite sono più sicure, sono state risparmiate dalle violenze che hanno visto ad esempio Homs e Hama, e in questi centri sono arrivati anche molti sunniti. Secondo Elizabeth O’Bagy, analista dell’Istituto di studi sulla guerra di Washington, lo sfollamento forzato dal settarismo riflette in realtà l’intensità degli sconti in una determinata area: in altre parole, in città sotto assedio e teatro di violenti scontri, che sono a prevalenza sunnita, la gente tende ad abbandonare i quartieri “misti” e a riunirsi con altri della propria comunità, in questo caso confessionale. Oppure, se può, si rifugia in zone sicure, a prescindere dalla maggioranza religiosa che le abita.
«Il quadro è per certi aspetti contraddittorio», ha spiegato Joshua Landis, professore di studi sul Medio Oriente all’università di Oklahoma, al quotidiano libanese The Daily Star. «Ci sono zone dove c’è stata una omogeneizzazione etnica e altre, invece, dove c’è più mescolanza di prima». È chiaro però che il settarismo di stampo confessionale sta condizionando il conflitto e la vita stessa dei siriani, rompendo equilibri difficilmente recuperabili. «Una città mista come Homs ha perso la sua capacità di normalizzare le relazioni tra comunità diverse», sostiene Peter Harling, analista dell’International Crisis Group, contrario a enfatizzare le motivazioni religiose dello sfollamento, ma che sottolinea che «si è rotta la fabbrica sociale della città, e la riconciliazione tra i diversi gruppi sarà davvero difficile».
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento