Gli indignati sono tornati a sfilare per le strade spagnole, in un simbolico «escrache al sistema». L’escrache è la «segnalazione pubblica», con picchetti sotto casa, dei politici che affossano iniziative di legge popolari come la riforma dell’ingiusta legge ipotecaria.
Domenica, a due anni dalla nascita del 15-M, gli spagnoli sono tornati in piazza per ricordare le motivazioni che il 15 maggio 2011 avevano portato alla nascita di un movimento politico che ha rivoluzionato il modo di intendere la politica, come ha riconosciuto persino la delegata del governo di Madrid, Cristina Cifuentes, un mastino della destra. Il 15-M, ha detto, è stato «pionieristico», perché ha modificato l’«agenda politica dei partiti», «contribuendo a evitare la breccia fra la gente e il parlamento», per poi ricordare a chi monta campadas in piazza che comunque «il diritto di riunione non è illimitato».
«No nos representan» (non ci rappresentano), «no es una crisis, es una estafa» (non è una crisi, è una truffa), «sí, se puede» (l’equivalente dell’obamiano yes, we can) erano alcuni degli slogan più ascoltati anche quest’anno, caratterizzato da una minore affluenza, ma da una maggiore organizzazione. I temi di fondo (diritto alla salute, all’educazione, alla casa) si mescolavano all’attualità politica, come l’indignazione per le ormai famose «buste» che l’ex tesoriere del Pp Bárcenas passava ai membri del partito per «arrotondare» lo stipendio, o per la polemica riforma della legge sull’aborto che riporterebbe la Spagna indietro di trenta anni, o la riforma della legge educativa che toglierebbe competenze alle comunità autonome, limitando il contenuto di materie come l’«educazione alla cittadinanza», aiutando i centri che dividono per sesso e favorendo e anticipando a 15 anni la professionalizzazione degli alunni «difficili». Per i catalani, poi, la riforma è un pugno nello stomaco perché mette in discussione le conquiste linguistiche, relegando il catalano a una lingua ottativa invece che veicolare come è oggi.
A Madrid grande protagonismo ha avuto anche la protesta contro la privatizzazione del sistema sanitario. Presenti dappertutto anche i cosiddetti yayoflautas, un collettivo di anziani «in lotta», il cui nome è già una presa in giro: «perroflauta» è l’aggettivo dispregiativo che viene usato per definire i vagabondi (caratterizzati, secondo il cliché, proprio da un cane e da un flauto). Gli yayos, i nonni, si autodefiniscono yayoflautas per ricordare che anche loro combattono contro il sistema perché vittime non solo dei tagli sociali, ma anche direttamente dalle truffe delle banche.
A Barcellona ha avuto un ruolo da protagonista la Pah, la Piattaforma in difesa delle vittime dei mutui: il verde delle magliette spiccava tra la folla che ha chiuso la manifestazione proprio con l’occupazione di un edificio vuoto nel centro di uno dei quartieri più multietnici di Barcellona, a lato del modernista Palau de la Música catalana, dove l’emergenza casa è particolarmente sentita.
Proprio pochi giorni fa una giudice di Barcellona aveva dato ragione a una famiglia sfrattata che aveva occupato un appartamento vuoto di proprietà della Sareb, la «banca cattiva» finanziata con soldi pubblici e che sta accumulando gli «attivi tossici» delle banche nella speranza di rivenderli.