Due agnostici al “settimo cielo”
Saggi «Conversazioni su Dio» di Zygmunt Bauman e il teologo Stanislaw Obirek per Laterza. Un dialogo sulla rilevanza del sacro, che mette però in guardia dalla pretesa di affermare un’unica verità sulle «cose del mondo». Oggi presentazione del volume a Milano
Saggi «Conversazioni su Dio» di Zygmunt Bauman e il teologo Stanislaw Obirek per Laterza. Un dialogo sulla rilevanza del sacro, che mette però in guardia dalla pretesa di affermare un’unica verità sulle «cose del mondo». Oggi presentazione del volume a Milano
Il dialogo imbastito fra Zygmunt Bauman e il grande sociologo polacco e un teologo Stanislaw Obirek, diventato come il osciologo polacco, scaturisce proprio dal fatto che per Bauman «l’agnosticismo non è l’antitesi della religione, o addirittura della Chiesa. È l’antitesi del monoteismo e della Chiesa chiusa» (Conversazioni su Dio, pp. 184, euro 15, Il volume sarà presentato oggi nel teatro Parenti di Milano). Non è la prima volta che Bauman assume un atteggiamento estremamente critico nei confronti dei monoteismi. In questo libro però il suo pensiero in proposito viene delineato con chiarezza e in tutta la sua portata. Ricorda che il filosofo tedesco neoscettico Odo Marquand faceva derivare il termine tedesco Zweifel (dubbio) dalla parola zwei (due) e sancisce: «Effettivamente, usare la parola “verità” al singolare in un mondo polifonico è un po’ come pretendere di applaudire con una mano sola… con una mano sola si possono dare pugni sul naso, ma non applaudire. Anche con la verità unica si può picchiare (del resto è stata inventata a questo scopo…), ma con il suo aiuto non ci si può mettere a indagare le forme della condizione umana (indagine che per sua natura può e deve compiersi solo nel dialogo, ovvero con l’assunto, dichiarato o tacito, ma sempre assiomatico, di un’alternativa)».
In realtà la posizione di Bauman non è molto distante da quella che assume Morin nel suo dialogo con il musulmano illuminato Tariq Ramadan nel libro in uscita Il pericolo delle idee: è vano pensare che quell’ottavo del mondo costituito dall’Occidente possa continuare a dettare l’agenda e continuare a vivere come se il resto dei «selvaggi» non esistessero o non potessero reclamare diritti, e se si aspira a una convivenza (pur relativamente) pacifica è indispensabile fecondare la propria visione del mondo con quella di chi la pensa diversamente da noi. In un mondo che cambia incessantemente, per Morin «senza rigenerazione non può esservi altro che degenerazione», e per Bauman vale la strategia «che considera la diversità non un difetto ma una virtù», e si spinge tanto lontano da dire che è possibile convivere – col comune vantaggio di un allargamento di orizzonti e un arricchimento di esperienze – grazie a (e non malgrado!) una molteplicità dei modi di vivere. «Qui ognuno ha, per esprimersi in linguaggio religioso, il diritto di possedere un proprio Dio, purché il diritto degli uni non vada a detrimento del diritto degli altri né pretenda di negare o togliere loro questo diritto».
In sostanza, per usare le modalità di utilizzazione del capitale sociale che sono state indicate dal politologo Robert Putnam, gli usi «ponte» favoriscono l’avanzamento sociale, mentre gli usi «leganti» cementano i gruppi ed erigono fortezze da cui difendono i risultati conseguiti contro gli intrusi. In altri libri Bauman aveva parlato in proposito di «mixofilia» e di «mixofobia», due tendenze umane destinate a perdurare entrambe.
Dal dialogo emerge che Obirek ha seguito il consiglio di Bauman di leggere il libro di Ulrich Beck Il Dio personale: la nascita della religiosità secolare e, sentendosi schiacciato da «una messe di letteratura teologica, fuori dalla quale riesco a scorgere sempre meno dell’uomo», auspica l’aiuto che i sociologi possono offrire ai teologi per ritrovare una sensibilità spirituale e «aprire gli occhi sul mondo di Dio». D’altronde il processo è sempre biunivoco se si pensa che secondo Beck la società secolare deve diventare post-secolare, vale a dire: scettica e aperta alle voci delle religioni, da considerarsi un arricchimento e non un’offesa. Un conto è infatti la laicità, che è al cuore stesso della democrazia, tutt’altro conto il laicismo, che pretenderebbe di espungere la troppo umana tensione verso la trascendenza, con il risultato attuale di sostituire alla santificazione di un Dio quella delle videate incessanti di numeri che scorrono sugli schermi degli addetti ai lavori e, così nudi e spietati, trasmettono cripticamente le notizie sulla buona o sulla mala sorte di popoli e persone. Meri numeri che non dialogano, che colpiscono, lacerano, abbattono.
Bauman ha scelto di dialogare, come papa Francesco, e questo contribuisce a tenere desti la sua intelligenza, il suo acume, la sua saggezza, il suo «essere per», espressione mutuata dal lessico del filosofo francese Emmanuel Lévinas.
Nella riedizione di Modernità e olocausto Bauman, che aveva appena perso la moglie dopo 61 anni di vita trascorsa insieme, ha scritto: «E poi, anche se amo isolarmi dagli altri, detesto la solitudine. Dopo la dipartita di Janina ho toccato il fondo della solitudine più tetra, ho raggiunto il luogo in cui si accumulano i sedimenti più amari e più acri, le esalazioni più nocive. Il volto di Janina sul desktop è la prima immagine che vedo quando accendo il computer, e tutto ciò che accade una volta aperto Word non è altro che un dialogo. E il dialogo rende impossibile la solitudine».
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