Il nome del loro ottavo album in studio, Futur, è un incitamento a guardare avanti, un respiro di speranza. Simbolicamente e a livello programmatico, suona come un disco post-pandemico, ma dentro ci sono anche echi degli ultimi accadimenti come la guerra qui, dietro le porte. Erano quasi con un piede fuori dall’uscio di casa per il tour del precedente disco Millions, quando la pandemia ha fermato tutto.
Si è aperto un tempo non più scandito da partenze e ritorni, stante l’opportunità di trasformare l’impotenza in una possibilità.   Inevitabilmente, la scrittura si è fatta viepiù introspettiva. Puzzle, solo voce e chitarra, è l’inquietudine di un’identità divisa, un mémoir sulla difficile condizione di nero europeo e sulle pratiche sociali che costruiscono il sé razzializzato. Finanche verbosa, la scrittura di Aurelien «Komlan» Zohou e di Hakim «Bouckour» Meridja, scorre in un flusso di idee coinvolgenti. Ma non si può dire che abbia perso la connotazione strettamente ideologica e schierata per cui vanno noti.
Diamant, vivacemente intrecciato di melodie africane, sottolinea l’appartenenza a un luogo diverso da quello di residenza, le affinità, i legami e lealtà con un altrove, reale o immaginario, distinto dalla vita di tutti i giorni.