Drum Machine e synth per il Tesoro di San Gennaro
Note sparse Con l'album «Amore e guerra», il duo formato da Salvio Vassallo e Valentina Guidi rilegge brani della tradizione napoletana
Note sparse Con l'album «Amore e guerra», il duo formato da Salvio Vassallo e Valentina Guidi rilegge brani della tradizione napoletana
All’ultimo Premio Carosone, la manifestazione-tributo al grande showman napoletano, il duo formato da Salvio Vassallo, polistrumentista, e Valentina Gaudini cantante, coppia nella vita e nell’arte, ha osato applicarsi con Vocoder e AI (Intelligenza Artificiale Generativa) sull’andamento scanzonato di Pigliate ‘na pastiglia trasformandola in un sintetico tormentone dancefloor, che potrebbe facilmente trovar posto nel repertorio del deejay Bob Sinclair o di Fatboy Slim. Hanno scelto di chiamarsi Il Tesoro di San Gennaro, in omaggio a una delle storiche preziose meraviglie del capoluogo, da anni (il loro primo cd è del 2013) si sono specializzati nella rielaborazione elettronica di musiche del repertorio folk e classico, annoverando riletture delle Folk Songs di Luciano Berio o rivisitazioni di alcune musiche di Claudio Monteverdi. Vassallo ha lavorato anche nella band Spaccanapoli, all’inizio degli anni 2000, prodotta dalla Real World di Peter Gabriel, ed è inoltre autore di colonne sonore per teatro, cinema e tv.
La cifra curiosa di questo ennesimo aggiornamento in avanti di brani famosi della tradizione partenopea, , è l’effetto conclusivo leggermente spiazzante dove però si ritrovano gli echi degli ultimi dieci-venti anni di rock underground
IN QUESTO NUOVO album, Amore e Guerra, mettono in fila otto brani tradizionali, piuttosto conosciuti, tra cui Karmagnola, Tarantella del Gargano, ‘A capa d’o cane, Jesce sole, deformate tra tastiere di computer, strumenti filtrati, iterative drum machine, lanciate nell’iperuranio digitale, dove ritornelli e ganci – talvolta più identificabili talaltra meno – acquistano ancora maggiore forza. Un disco eclettico, trasversale, inclusivo, che trasuda la storia incessante della città, tra l’eredità della tradizione e l’urgenza della modernità. Gli archetipi sonori vengono trainati da una vocalità ora più impostata ora più passionale così ‘Na bruna, un successo di Sergio Bruni al festival di Napoli, caricato di trance psichedelica con noise guitars (Michele De Finis degli Epo), synth ipnotici e cordofoni e organo hammond, autentica sperimentazione surreale.
La cifra curiosa di questo ennesimo aggiornamento in avanti di brani famosi della tradizione partenopea, con sonorità rivoltate come un cappotto troppo liso, con testi indimenticabili conosciuti a memoria, con un effetto conclusivo leggermente spiazzante dove però si ritrovano gli echi degli ultimi dieci-venti anni di rock underground, dai Chemical Brothers ai Daft Punk e tante altre ritmiche ipnotiche delle giovani generazioni.
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