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Droghe, la prova decisiva per il Parlamento

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Fuoriluogo La proposta per modificare le parti peggiori della legge antidroga del 1990

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 11 agosto 2021

Nell’ultima seduta prima della pausa estiva la commissione Giustizia della Camera avrebbe dovuto adottare un testo base per modificare alcune parti della legge antidroga del 1990.

Il testo del relatore Perantoni, che è anche il presidente della commissione, recepisce in buona parte i pochi, ma sostanziali interventi contenuti nella proposta di legge a prima firma di chi scrive, sottoscritta da circa trenta deputati di diversi gruppi e che riprende alcuni punti della riforma complessiva elaborata dalla Società della Ragione.

I punti qualificanti sono il rafforzamento della fattispecie della “lieve entità” attraverso la formalizzazione di un articolo autonomo e la previsione della depenalizzazione di tali condotte con la distinzione delle sostanze; la legalizzazione della coltivazione domestica di cannabis per uso personale; l’eliminazione delle sanzioni amministrative per i consumatori.

Non si tratta di una riforma organica, ma di un intervento che segnerebbe un primo passo deciso nella direzione giusta dopo trent’anni di danni prodotti da una fallimentare guerra alla droga che ha visto il nostro Stato adottare una normativa fortemente repressiva e punitiva, riempire le carceri di consumatori e piccoli spacciatori, senza scalfire minimamente il mercato illegale degli stupefacenti in continua espansione e trasformazione.

L’articolo 73 del testo unico degli stupefacenti che si intende modificare è, di fatto, la principale causa di ingresso in carcere nel nostro Paese e in sette casi su dieci anche per “fatti di lieve entità”. Non mi soffermo sull’assurdità di continuare a colpire penalmente chi coltiva poche piantine di marijuana né sulla vergogna che dovremmo provare tutti di fronte a processi che vedono imputati malati bisognosi della sostanza che si auto producono, come nel caso recente di Walter De Benedetto.

Il Parlamento, dopo decenni in cui gli unici cambiamenti sono stati decisi dalla Corte Costituzionale o per via giurisprudenziale, ha l’occasione di far vivere la sua tanto invocata, quanto logorata, centralità. Si affermerebbe la responsabilità del legislatore di affrontare un fenomeno sociale che riguarda milioni di cittadini e di mostrarsi consapevole che le leggi ideologiche non hanno garantito affatto giustizia, salute, legalità, lotta alla criminalità.

Nel mondo, intanto, assistiamo a importanti cambiamenti, basti pensare agli Stati americani dove si sta affermando un mercato legale della cannabis che sostituisce quello illegale con molteplici e oggettivi benefici. Le istituzioni democratiche sono vive e funzionano se sanno cambiare anche radicalmente politiche fallimentari.

Ma torniamo a Montecitorio dove, contrariamente a quanto previsto e auspicato, la Commissione Giustizia ha deciso di non decidere rinviando a settembre il voto sul testo base da adottare. Insieme al centrodestra, anche Italia Viva ha chiesto più tempo motivando la richiesta con la necessità di approfondire il testo e il tema. Ma in oltre un anno e mezzo abbiamo beneficiato di un ciclo di audizioni davvero completo se si considera anche il perimetro circoscritto del provvedimento.

Evidentemente qualcuno spera che in autunno le urgenze siano altre e la situazione politica sia tale da far finire tutto su un binario morto. Sulla carta la maggioranza favorevole c’è, ma il rischio da evitare assolutamente è che a settembre non ci sia o non si manifesti.

E’ adesso quindi il momento di richiamare tutte le forze politiche alle loro responsabilità: vengano avanti i riformatori nel Pd, nel M5S, in Fi o dovunque siano, tutti coloro che solo pochi giorni fa hanno sostenuto la riforma Cartabia che tra i suoi obiettivi ha proprio quello di limitare l’ingresso in carcere per i fatti di particolare tenuità.

Altrimenti sarà inevitabile prepararci a un referendum anche per questa battaglia di civiltà.

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