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Droghe, barlumi di speranza all’Onu

Fuoriluogo La rubrica settimanale a cura di Fuoriluogo

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 1 aprile 2015

Le aspettative alla vigilia della 58esima sessione della Commissione sulle droghe dell’Onu non erano particolarmente alte, ma qualcosa s’è mosso. Per riassumere gli sviluppi positivi bisogna citare gli Usa: «Abbiamo adottato politiche intelligenti sul crimine» hanno esordito gli Stati Uniti sottolineando come all’incarcerazione di chi consuma sia da preferire la cura. Un messaggio preciso, anche se non totalmente corrispondente alla realtà delle politiche giudiziarie nazionali.

Altrettanto chiara l’invocazione della «latitudine» cioè lo spazio di manovra all’interno delle tre Convenzioni Onu sulle droghe per modificare, a impegni internazionali vigenti, leggi e politiche sugli stupefacenti.

Il nuovo corso del Paese che ha inventato la «guerra alla droga» ha contribuito a impostare il dibattito relativo all’Ungass, la sessione speciale dell’Assemblea generale prevista per il 2016.
Le nuove posizioni americane erano state precedute dai toni inusualmente concilianti dell’Incb, l’organo che controlla l’aderenza delle politiche nazionali alle Convenzioni sugli stupefacenti, e dell’Unodc, l’ufficio delle Nazioni Unite che coordina le campagne di «controllo alla droga».

Attenzione socio-sanitaria, depenalizzazione, ferma condanna dell’uso della pena di morte per reati connessi alle droghe e «sviluppo alternativo» per contrastare le colture illecite sono diventate le nuove parole d’ordine. Segnali di buon senso che fino a qualche tempo fa non avevano diritto di cittadinanza all’Onu di Vienna.

Certo, nessuno mette in dubbio che sia arrivato il tempo di riformare le Convenzioni e molti paesi continuano a stigmatizzare anche la sola menzione della possibilità di «legalizzare», ma i tempi della parola d’ordine «Un mondo senza droga, possiamo farcela» con cui Pino Arlacchi convocò la Ungass del 1998 son morti e sepolti.

Tutto pronto quindi per un cambio di passo nel 2016? Non proprio, e a far notare che modulare i toni non basta ci hanno pensato i latino-americani. Il ministro della giustizia colombiano Yesid Reyes ha infatti denunciato in plenaria che «la guerra alla droga non è stata vinta» e che «diventa imperativo ideare, proporre e concordare, a livello globale, nuovi approcci che ci permettano di affrontare il problema della droga in modo più efficace La riduzione dell’offerta della cocaina non ha funzionato» ha detto Reyes, occorre quindi «esser flessibili quanto il mercato delle sostanze». Parole chiare, salutate da un applauso generale, anch’esse sicuramente più avanti delle politiche nazionali, ma che hanno messo in evidenza un sentire comune del continente sudamericano confermato da Messico, Uruguay, Guatemala.

Altro segnale incoraggiante il coinvolgimento delle organizzazioni non-governative nelle sessioni tematiche e negli eventi organizzati a latere del dibattito ufficiale.

Proprio come in altri consessi dell’Onu, anche a Vienna, le Ong possono tranquillamente prendere la parola, far circolare documenti e, in alcuni passaggi, come a proposito della proposta di proibire la ketamina, giocare un ruolo attivo per influenzare positivamente i negoziati.

Il 7 maggio prossimo, al Palazzo di Vetro, si terrà un dibattito di alto livello per continuare la preparazione della sessione del 2016.

A New York si affrontano le questioni politiche, c’è da sperare che i paesi che si sono esposti a Vienna confermino la risolutezza manifestata e che, finalmente, l’Europa assuma la leadership di questo nuovo atteggiamento affinché l’Ungass lanci un processo riformatore che ci porti alla chiusura definitiva col proibizionismo.

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