Draghi, messaggio alle destre: «No a sovranismo e illusioni autarchiche»
Meeting Rimini Standing ovation per il premier al Meeting: «Agenda? Non ho proposte da lasciare, solo un metodo: con me crescita e coesione sociale. L'Italia resti ancorata a Ue e Nato»
Meeting Rimini Standing ovation per il premier al Meeting: «Agenda? Non ho proposte da lasciare, solo un metodo: con me crescita e coesione sociale. L'Italia resti ancorata a Ue e Nato»
Oltre trenta applausi, seguiti da una lunga standing ovation. Il meeting di Rimini accoglie a braccia aperte Mario Draghi, per quello che probabilmente sarà l’ultimo discorso pubblico da premier. Proprio dai padiglioni di questa fiera, esattamente due anni fa, l’ex numero uno della Bce aveva fatto il suo ingresso in politica, con un discorso programmatico sul «debito buono» e sulla politica economica per uscire dallo choc pandemico, che aveva fatto saltare sulla sedia Giuseppe Conte: il cambio a palazzo Chigi avvenne sei mesi dopo.
IERI DRAGHI HA RIPERCORSO i suoi 19 mesi di governo, rivendicando tutte le scelte fatte, a partire dai «rischi calcolati» presi sulla pandemia, e dal lavoro per ridurre la dipendenza dal gas russo. Obiettivo che lui confida di centrare «entro l’autunno del 2024 se i due rigassificatori partiranno nei tempi previsti». Il premier dunque ritiene di aver quadrato il cerchio tra la ripresa del Pil «ai livelli pre-Covid prima delle previsioni Ue» e la concomitante riduzione del rapporto debito pil (4,4 punti nel 2021 e 3,8 nel 2022): «Il maggior calo percentuale in un biennio dal Dopoguerra».
E ha speso parole di ottimismo sull’Italia che «ce la farà anche questa volta», anche di fronte a difficoltà che «paiono insormontabili». Perché l’economia poggia su «basi solide» e il Paese «ha già dimostrato di saper reagire»: «Gli italiani hanno riscritto una storia che sembrava già decisa». E anche le nuove calamità, come il boom dei prezzi dell’energia e l’inflazione, «non ci trovano inerti».
«L’ITALIA CE LA FARÀ qualunque sia il colore politico del prossimo governo», è il messaggio d rivolto ai mercati e ai partner internazionali. Condito da un invito ad «andare a votare». A chi verrà dopo di lui lancia però alcuni messaggi chiari: non solo preservare lo «spirito repubblicano» che ha consentito di tenere insieme forze politiche così diverse. Ma ritrovare quel «dialogo» e quella «coesione» anche nella prossima legislatura, seppur in un quadro diverso. Ma soprattutto stare alla larga da «protezionismo e isolazionismo che non coincidono con l’interesse nazionale». Da «illusioni autarchiche del secolo scorso o pulsioni sovraniste che anche recentemente spingevano a lasciare l’euro».
IL MESSAGGIO È CHIARAMENTE rivolto a Giorgia Meloni, in pole position per prendere il suo posto a palazzo Chigi. «L’Italia non è mai forte da sola, il 25% del nostro debito è detenuto da investitori esteri. Migliaia di aziende straniere si riforniscono dalle nostre o impiegano i loro capitali in Italia e contribuiscono alla crescita e al bilancio pubblico».
«Il posto dell’Italia», dunque, «è ancorata all’Ue e al patto atlantico, il rispetto degli altri si conquista con l’autorevolezza». E ancora: «Dipendere per quasi metà delle forniture di gas da un paese come la Russia che insegue il suo passato imperiale è il contrario della sovranità», avverte. «Non dovrà accadere mai più».
SULLA SUA AGENDA, che per alcune settimane è parsa al centro della campagna elettorale (certamente delle discussioni tra Pd e Calenda), il premier se la cava con l’ironia: «C’è chi vorrebbe che fosse un insieme di proposte da lasciare al prossimo governo. Io posso solo fare una sintesi dei principi e del metodo che hanno guidato l’azione del nostro governo e dei risultati conseguiti». Un metodo, dice, fatto di pragmatismo, di «prontezza» e di una ricerca costante della «coesione sociale», e di attenzione all’equilibrio dei conti pubblici.
IL PREMIER HA RICORDATO di non aver aumentato le tasse, fatta eccezione per gli extraprofitti delle aziende energetiche. Ma ha rivendicato la riforma del catasto per far venire fuori il nero che tanti problemi gli ha creato con Lega e Fi. «Eliminare ingiustizie e opacità è cosa diversa dall’aumento delle imposte». «Le misure che abbiamo adottato hanno frenato l’aumento delle diseguaglianze», ammette Draghi, ricordando i 14 miliardi investiti sulle famiglie ma anche gli «stipendi bassi e la precarietà diffusa». E i rischi che l’inflazione si abbatta nuovamente sui più deboli, in un contesto economico internazionale «in forte peggioramento».
TRA LE EREDITÀ PRINCIPALI che consegna ai successori c’è la posizione dell’Italia nella guerra Russia-Ucraina. E se Salvini mette in dubbio le sanzioni a Mosca, il premier ribadisce che «non c’è contraddizione tra ricerca della pace e mantenimento delle sanzioni». E aggiunge: «Non possiamo dirci europei se non siamo pronti a difendere la libertà dell’Ucraina e dell’Europa, anche con l’invio di armi».
Calenda e i renziani rivendicano di essere gli unici a volerlo riportare a palazzo Chigi. «Secondo me non lo abbiamo perduto, in caso di impasse tornerà», sospira il leader di Azione. Letta si dice «orgoglioso» di aver sostenuto il premier, ma il centrista Richetti lo rimprovera per l’alleanza con Fratoianni. Tacciono i leader del centrodestra, ma da Fdi qualcuno prova a sfruttare le sue parole al Meeting: «Ha smentito la narrazione della sinistra che grida alla catastrofe in caso di governo Meloni», la butta lì il senatore Fazzolari.
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