Politica

Draghi il «pragmatico» supera la prima prova anche se in ritardo

Draghi il «pragmatico» supera la prima prova anche se in ritardo

Misure tampone L’attesa conferenza stampa del premier slitta per lo scontro sulle cartelle: «Un condono molto limitato». E la Lega «usi il buonsenso»

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 20 marzo 2021

Pragmatismo. La parola chiave per indicare lo stile di governo che Mario Draghi ha illustrato ieri nella sua prima conferenza stampa, “il battesimo del fuoco”, è questa. Coniugata con la consapevolezza di stare guidando una barca nella tempesta, dunque senza possibilità di tracciare rotte a lungo raggio ma di doversela sbrigare a seconda delle circostanze. A chi gli chiede la sua visione della politica economica del Paese lo dice chiaramente: «Questa è una domanda da tempi di normalità ma qui siamo nell’emergenza». Una visione della società e delle gradi scelte economiche, aggiunge, «spero di poterle illustrare» . A tempo debito. Se gli si chiede come intenda affrontare il problema del debito impennato e se si spenderà per il cambiamento delle regole e dei parametri, replica con la stessa logica: «Questo è il momento di dare e sostenere aziende e lavoro, non di pensare al debito». Ma un passo in più sulle regole del patto di stabilità se lo concede: «Mi pare difficile che possano restare le stesse».

LA STELLA POLARE del pragmatismo vale anche per le scelte sulla pandemia e la vaccinazione: «Si cerca il coordinamento europeo ma qui si tratta della salute dei cittadini, se non funziona bisogna andare per conto proprio». Anche sullo Sputnik, come gli comunicano che ha appena annunciato di voler fare Angela Merkel e lui incassa: «Appunto quello che dicevo». Ma sull’Europa una critica non velata l’ex presidente della Bce se la concede. Gli appunti su come la Ue ha siglato accordi e contratti con le case farmaceutiche andavano fatti a tempo debito, non ora. Ma quanto poco apprezzi quegli accordi lo fa capire al di là di ogni dubbio. Però almeno quei contratti vanno rispettati. In caso contrario «l’export di AstraZeneca verrà bloccato».

NELLA CONFERENZA di ieri qualcosa in più si è capito anche dell’uomo e del suo stile. Laconico ma non evasivo, di poche parole ma precise, cercando ogni volta in platea il giornalista che ha posto la domanda per rispondergli personalmente. Non aggira la domanda quando si arriva alla nota dolente del “famigerato” condono, la cancellazione delle cartelle esattoriali: «Certo che è un condono ma molto, molto limitato. Si parla di multe di 2500 euro poi lievitate con le penali per una platea al di sotto dei 30mila euro di reddito». Se era necessario per pulire i magazzini e mettere l’amministrazione in grado di affrontare meglio l’evasione, andava fatto. Non che sia una cosa buona, ma il problema va affrontato alla radice, nelle disfunzioni che portano milioni di cartelle ad accumularsi paralizzando tutto: «Per questo serve un riforma, spero piccola, della riscossione». E sulla Lega, che per tutto il giorno ha dato battaglia per allargare le maglie del condono, è cordiale ma drastico: «Tutti sono entrati in questa maggioranza con le loro bandiere identitarie. Si tratta di vedere quali sono di buonsenso e quali fanno danno alla stessa identità e al Paese».

ALLO STESSO MODO, Draghi rivendica la scelta di aver sospeso la vaccinazione AstraZeneca: «Nessun favore alla Germania. Mettetevi nei panni di chi doveva decidere, di fronte alle parole di Ema che prendeva tempo. Comunque le rinunce alla vaccinazione sono durate solo un giorno, quasi compensate dal ricorso ad altri vaccini. Penso di avere fatto bene». Il premier vede rosa. Le vaccinazioni oggi sono nell’ordine delle 165mila al giorno. L’obiettivo resta arrivare a 500mila a metà aprile e poi salire ancora. In realtà Draghi dice 700mila, poi si corregge, ma forse il lapsus rivela quale soglia speri di raggiungere. Il problema è la disparità tra le regioni, che vanno in ordine sparso. Quello sì che è un problema che deve essere risolto. Ma senza forzare i toni perché «lo Stato c’è per aiutare le regioni e i rapporti di collaborazione vanno molto bene da entrambe le parti».

SE UNA SCOPERTA va riscontrata, nel modo di comunicare di Draghi, è la notevole dose di ironia a cui ricorre dopo l’irrigidito imbarazzo degli esordi, inversamente proporzionale al rifiuto di affidarsi al comodo appiglio delle retorica. La crisi Usa-Russia: «La nostra collocazione non è in discussione. Ma non parlerei di crisi. Per ora siamo allo scambio di complimenti». Come vive le elevatissime aspettative sul suo operato: «Spero che le future delusioni non siano pari all’entusiasmo di oggi». Nella prima uscita pubblica, Draghi prova a rispondere su tutto. Il Mes? «Con i tassi di oggi non è una priorità e senza un progetto che lo prendiamo a fare?». Il codice degli appalti: «Eliminarlo no ma una semplificazione è necessaria». La durata del governo? «Ma quella la decide il parlamento». La scuola? «Sarà la prima a riaprire».

NON ERA UNA conferenza stampa come tante quella di ieri. Era anche l’esame per un premier sulle cui capacità di comunicare erano sorti nelle ultime settimane molti dubbi. Lo ha passato a pieni voti.

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