Draghi e il Pnrr, quando il grande affare è per pochi
Il governo di tutti In nome della libertà d’impresa e della competitività, stiamo assistendo ad un’intensa attività di lobbyng su governo e parlamento per l’accaparramento dei fondi del Pnrr e per riforme che rafforzino i processi di privatizzazione e riducano maggiormente la tassazione sui redditi alti
Il governo di tutti In nome della libertà d’impresa e della competitività, stiamo assistendo ad un’intensa attività di lobbyng su governo e parlamento per l’accaparramento dei fondi del Pnrr e per riforme che rafforzino i processi di privatizzazione e riducano maggiormente la tassazione sui redditi alti
Negli ultimi due anni si è approfondito il divario tra spese ed entrate dello Stato. I provvedimenti di ristoro e di sostegno sono stati finanziati in deficit e hanno avuto un costo non indifferente. Al debito pubblico in crescita corrisponde un surplus di risparmio privato (imprese e famiglie) che ammonta a circa 300 miliardi. Aumentano al contempo le famiglie in condizioni di povertà assoluta. Le disuguaglianze si accentuano. I giovani e le donne stanno pagando il prezzo più alto in termini di disoccupazione e precarietà. Il benessere della maggioranza degli italiani è sensibilmente diminuito. L’aspettativa di vita si è ridotta di quasi due anni. La natalità è diventata un evento raro. Contraddizioni vecchie e nuove si accumulano e si aggravano. In questo scenario, il governo Draghi con nuove misure cerca di contenere l’impatto della quarta ondata di contagi. C’è preoccupazione sulla ripresa economica, già in difficoltà per il rialzo del prezzo dei carburanti e la conseguente fiammata inflazionistica.
Col passare del tempo si sta smorzando l’ottimismo di quanti, in Italia e in Europa, auspicavano un rapido ritorno alla normalità. Intanto gli egoismi e gli interessi particolari stanno riprendendo quota. Le manifestazioni no-vax, a modo loro, sono la rappresentazione di una chiusura individualista che prevale su qualsiasi sentimento di solidarietà e di comunità.
Esprimono un’idea di libertà individuale incondizionata, «irriducibile». La libertà individuale, sempre e in ogni caso, viene prima della libertà collettiva e del bene comune. Siamo in presenza di una subcultura pericolosa, una sorta di degenerazione del pensiero liberista, terreno di coltura di tendenze autoritarie e reazionarie.
In assenza di una prospettiva di cambiamento, anche per la crisi in cui si dibatte la sinistra, trovano facile gioco i fautori del «governo dei migliori» o di un ruolo semi-presidenziale di Mario Draghi. Coloro che, con la pandemia, avevano sperato in uno Stato e in istituzioni più presenti e attivi sui temi dello sviluppo sostenibile, della qualificazione dei servizi, della redistribuzione, sono disorientati e delusi.
In nome della libertà d’impresa e della competitività, stiamo assistendo ad un’intensa attività di lobbyng su governo e parlamento per l’accaparramento dei fondi del Pnrr e per riforme che rafforzino i processi di privatizzazione e riducano maggiormente la tassazione sui redditi alti. Dietro la retorica di un mercato soffocato dalle regole pubbliche si nasconde un’azione continua e spregiudicata per piegare le istituzioni ai desiderata delle imprese private, della finanza, della rendita urbana.
Il governo Draghi, purtroppo, dobbiamo dire, si muove in piena sintonia con il sentiment dei gruppi d’interesse che dominano l’economia italiana. È bastato che il segretario del Pd facesse una timida proposta per elevare la tassazione, oggi insignificante, sulle eredità di grandi patrimoni perché incontrasse il fermo niet del presidente del consiglio in persona. Con poche parole, «è il momento di dare non di prendere», Enrico Letta è stato zittito e da mesi non ha più ripreso l’argomento.
In un paese in cui l’evasione è altissima e i ricchi navigano letteralmente nel lusso, in cui il rapporto tra i salari dei lavoratori e le remunerazioni dei manager è del tutto sproporzionato (raggiunge punte di uno a 300), molti politici e giornalisti non trovano di meglio che sollevare lo scandalo del reddito di cittadinanza. Un giorno si dovrà pur fare un bilancio attento e puntuale – tra imprenditori e disoccupati e precari – su chi ha preso e chi ha truffato di più sui sussidi pubblici. E a proposito di «dare e prendere» non fa notizia che i lavoratori e i pensionati italiani – che sono pure i maggiori contribuenti del fisco – siano gli unici in Europa ad aver registrato, negli ultimi trent’anni, una riduzione sensibile delle retribuzioni e delle pensioni.
Infine, la manovra di bilancio, le riforme sul tappeto, la stessa gestione del Pnrr sono un déjà-vu, non indicano di certo una volontà di cambiamento. L’attesa riforma fiscale si è ridotta ad una disputa sulla distribuzione di 8 miliardi. La riforma del catasto è stata di fatto rinviata al 2026. La legge sulla concorrenza non tocca le rendite di posizione e i corposi privilegi corporativi. Anzi, si è trasformata nell’ennesimo regalo alle imprese private, alle quali viene offerta, su un piatto d’argento, la gestione delle «municipalizzate».
I media continuano a raccontarci la favoletta che privatizzazioni e concorrenza migliorano l’efficienza sui servizi e riducono le tariffe. Lo stesso Pnrr, oggetto misterioso per la maggioranza degli italiani, da straordinaria occasione di sviluppo, rischia di diventare un grande affare per pochi, provocando ulteriori fratture sociali e territoriali.
Sarebbe il momento di affilare le armi della critica e svelare l’inganno (ideologico) su cui si regge il «governo di tutti». La narrazione per cui si possa fare a meno della politica, della partecipazione al dibattito, del conflitto sociale. L’idea che basti una persona professionalmente preparata e stimata a livello internazionale per garantire la soluzione dei problemi.
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