I venti di crisi soffiano prima e più violenti del previsto. Alla fine di una giornata di tregenda, però, le cose stanno come stavano prima che la giostra impazzisse: oggi, nell’incontro con i sindacati, Draghi illustrerà la sua strategia, con il preciso intento di lanciare messaggi anche a Conte.

Se i 5S si accontenteranno tutto tornerà all’abituale stato di fibrillazione permanente. In caso contrario sarà lo showdown con Giuseppe Conte e forse anche una battaglia aperta di tutti contro tutti.

LA SALITA AL COLLE in via ufficiale di Draghi, nel tardo pomeriggio, certifica che il punto di non ritorno può essere davvero vicino.

Su un punto il premier ha scelto di essere inflessibile, e di questo è andato a discutere col capo dello Stato al quale ha però assicurato che cercherà di andare incontro alle richieste del Movimento: se giovedì al Senato i 5S, al momento di votare la fiducia, lasceranno l’aula come hanno fatto ieri alla Camera nel voto finale sul dl Aiuti, rassegnerà le dimissioni.

Quasi certamente, in questo caso, Mattarella chiederà invece al premier di presentarsi di fronte alle Camere per chiarire se ha ancora la fiducia e quanto solida. Di fatto per mettere Conte con le spalle al muro.

Difficile ricostruire come si sia avvitata una giornata che sembrava dover essere sostanzialmente di attesa.

Conte si aspettava per oggi da Draghi, proprio nell’incontro con i sindacati, segnali che gli permettessero di chiedere ai suoi senatori, molto più bellicosi dei deputati, di votare la fiducia domani.

Quei segnali dovrebbero arrivare ma non è affatto detto che siano sufficienti. Draghi parlerà di salario minimo, diversificato però per categorie per non incorrere nell’opposizione delle confederazioni. Prometterà un taglio al cuneo fiscale: in realtà un taglietto intorno ai 2-3 miliardi, poco più di niente.

Per ora non si parlerà invece di Superbonus né il governo pare voler cancellare le modifiche peggiorative che la Camera ha apportato al reddito di cittadinanza.

L’INCENDIO DIVAMPA però senza attendere le proposte di Draghi ai sindacati. A Montecitorio i 5S, per la verità, fanno precisamente ciò che avevano annunciato: dopo aver votato la fiducia giovedì scorso, si allontanano al momento del voto finale, espediente possibile alla Camera e non al Senato dove il voto è unico.

L’eterna indecisione di Conte rende goffo il passaggio, i deputati 5S non sanno fino all’ultimo se dovranno astenersi o disertare il voto, solo in extremis un sms li mette al corrente di quel che faranno.

A illustrare la decisione è il capogruppo Crippa, un governista, e proprio perché non si tratta di un pasdaran la durezza del suo intervento stupisce un po’ tutti.

Ma a sorpresa Forza Italia esaspera ogni tensione, si scaglia contro i 5S con dichiarazioni a raffica sempre più estreme finché, a fattaccio consumato, voto disertato e decreto approvato con 266 sì e 47 voti contrari, non entra in campo Berlusconi in persona, col randello in pugno: «Chiediamo a Draghi di sottrarsi a questa logica politicamente ricattatoria e di prendere atto della situazione che si è creata. Chiediamo una verifica di maggioranza». La Lega arriva subito di rincalzo: «Bene la richiesta di Berlusconi».

Silvio Berlusconi
Chiediamo a Draghi di sottrarsi a questa logica politicamente ricattatoria e di prendere atto della situazione che si è creata. Chiediamo una verifica

È UNA MOSSA che fa infuriare il premier e a ragion veduta anche se Tajani prova a rivendersela come «un appoggio a Draghi». Con l’assalto di ieri l’ala destra della maggioranza tenta apertamente di mettersi di mezzo sul viottolo, già stretto e accidentato, del dialogo a distanza tra Draghi e i 5S sui temi sociali messi nero su bianco da Conte. Fa capire al di là di ogni dubbio che un «cedimento» alle richieste dei 5S comporterebbe un irrigidimento drastico della destra sui propri temi.

Al ministro 5S D’Incà, che in transatlantico chiede spiegazioni sullo sgambetto, il capogruppo azzurro Barelli risponde diretto: «Voi fate il vostro e noi il nostro. Su alcune delle vostre richieste siamo d’accordo ma reddito di cittadinanza e salario minimo per noi sono inaccettabili».

IL RISULTATO della giornata di passione è che tutti affrontano il passaggio chiave di oggi con i nervi allo scoperto. I senatori 5S decisi a non partecipare al voto, giovedì, senza vere aperture di Draghi: costi quel che costi. Conte che sembra travolto da una tempesta che ha voluto ma che non appare in grado di governare. La destra della maggioranza in attesa degli eventi con la scimitarra in mano.

Dal Colle, mesti, ammettono di non poter fare previsioni: «La variabili da qui a giovedì sono troppe».