Economia

Draghi cerca di rianimare l’Eurozona

Draghi cerca di rianimare l’EurozonaMario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea

Bce Dalla Bce ottanta miliardi di euro al mese per il «Quantitative Easing» e taglio dei tassi: ma la ripresa è ancora lontana. Draghi, l'uomo del bazooka monetario sorprende ancora con un pacchetto di misure. Il «Qe» non ha portato i risultati attesi

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 11 marzo 2016

La «ripresa» auspicata è lontana, un anno di «Quantitative easing» non ha funzionato con l’inflazione che oscilla tra lo scarso e il negativo. Ieri il presidente della Banca Centrale Europea (Bce) Draghi ha ripreso il bazooka e,  accompagnato da un entusiasmo effimero delle borse, ha aumentato di venti miliardi al mese il «Qe», passando da sessanta a ottanta miliardi di euro. Non settanta come previsto alla vigilia.

La diga è stata aperta e sull’Eurozona precipiterà una nuova alluvione monetaria fino a marzo 2017, ma forse sarà prolungato di tre/sei mesi. La speranza è rianimare l’inflazione e gli investimenti. Sempre a condizione di mantenere inalterata l’austerità nel quadro economico generale.

Soldi gratis alle banche, rispettando il «piano di stabilità e crescita, promuovendo un ambiente economico favorevole alla crescita» ha aggiunto Draghi. Questo è il mistero della fede del monetarismo: non si capisce come si possa favorire la «crescita», rispettando l’austerità di fondo. Fino ad oggi l’uso di uno 0,1% in più del deficit ha scatenato fibrillazioni da crepacuore tra Roma e Bruxelles, mentre l’Europa annega in una marea di denaro che resta sospesa sulle nostre teste. Tutto è in mano alla politica. E la politica europea non segue Draghi.

Questa è la contraddizione: da un lato l’attivismo dei banchieri centrali, dall’altro lato l’incapacità di reagire della politica. Si resta fermi all’ipotesi di salvare la finanza con gli strumenti della finanza, senza preoccuparsi dell’aumento catastrofico delle diseguaglianze e del reale stato di salute dell’economia reale. I segnali preoccupanti ci sono tutti: ieri la Bce ha fatto una revisione record al ribasso dell’inflazione: per il 2016 dall’1% allo 0,1%, nel 2017 da 1,6% a 1,3%.E chissà se sarà così allora. Siamo dunque molto lontani dal 2%, come prevede il mandato di Francoforte. Si continua come prima, più di prima.

Ieri il presidente Bce ha sorpreso tutti e ha messo in bella mostra altre armi «non convenzionali». Ha abbassato i principali tassi di interesse: il tasso di rifinanziamento dallo 0,05% a zero; sui depositi da -0,30 a -0,40% e quello sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi dallo 0,30 allo 0,25 per cento. Entreranno in vigore dal 16 marzo. Francoforte ha alzato dal 33% al 33% il limite per acquistare le emissioni di bond.

Altra novità inattesa: la Bce acquisterà anche i bond delle aziende non finanziarie. L’acquisto delle obbligazioni sarà deciso da un comitato costituito ad hoc. Gli acquisti partiranno «verso la fine del secondo trimestre di quest’anno» Da giugno 2016 a marzo 2017 la Bce lancerà quattro nuove Targeted Long Term Refinancing Operations (Tltro), cioè finanziamenti a lungo termine alle banche, con la durata di quattro anni e un tasso sui depositi fino a meno 0,40%.

Alla riunione del board ieri non ha votato il presidente della Bundesbank Jens Weidmann e gli altri alleati dei tedeschi, contrari al «Qe» di Draghi. Lo ha imposto il sistema di rotazione del voto. Draghi ha precisato che le decisioni sono state prese da una «maggioranza schiacciante» e ha negato che il maxi-intervento sia finalizzato a sostenere soprattutto le banche italiane. La Bce mira alla «stabilità dei prezzi nell’Eurozona e non in solo paese». E poi ha scandito, in tedesco: «Immaginate se non avessimo fatto niente – ha detto – avessimo incrociato le braccia dicendo nein zu allen, no a qualsiasi cosa. Ci ritroveremmo con una disastrosa deflazione oggi». Questo perché Weidmann intenda.

Non è escluso che il rafforzamento dell’alluvione monetaria fornisca un sollievo al governo Renzi sul lato bancario e poi sulla «flessibilità» delle risorse aggiuntive liberate dall’acquisto dei titoli di stato. La notizia di ieri, tuttavia, non risolverà il problema del debito pubblico-monstre. Le sue dimensioni (oltre il 134% del Pil) e la sua risicata diminuzione non piacciono alla Commissione Ue che tallona Renzi e Padoan. Se ne riparlerà dopo il 15 aprile con il Def 2016. Ma il problema resta: uno degli effetti del «Qe» è infatti l’aumento del debito pubblico in una fase di deflazione tendenziale pesano sempre di più.

Draghi non ha escluso l’ipotesi formulata nel 1969 da Milton Friedman sull’«helicopter money», cioè la distribuzione del «denaro a pioggia» ai consumatori europei. «È una teoria che viene discussa a livello accademico – ha detto- noi non ne abbiamo parlato. Può voler dire molte cose diverse tra loro, dovremo vedere». Uno degli effetti potrebbe essere quello di peggiorare le diseguaglianze, premiando gli attori più forti , come sta accadendo oggi. Sembra del tutto escluso, al momento, l’ipotesi del «Qe per il popolo», fortemente discusso in Europa, ma non a Francoforte. E tanto meno in Italia.

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