Draghi-Bonomi, un patto per l’Italia: degli industriali
Lunga Vita Dal palco il capo di Confindustria abbassa i toni ma alza la posta E blinda il premier, «uomo della necessità», che non lo delude. L’ex Bce invoca una pace sociale che somiglia molto a quella delineata dal suo ospite
Lunga Vita Dal palco il capo di Confindustria abbassa i toni ma alza la posta E blinda il premier, «uomo della necessità», che non lo delude. L’ex Bce invoca una pace sociale che somiglia molto a quella delineata dal suo ospite
È «l’uomo della necessità», dunque il meglio che si possa trovare e deve restare a palazzo Chigi fino al 2023. Dal palco di Confindustria il presidente Carlo Bonomi incorona Mario Draghi e allo stesso tempo lo blinda. La replica del premier, che ancora non ha deciso se rinunciare o meno al Quirinale, è ambigua e forse non potrebbe essere diversamente. Non si esprime, non allude alla necessità di un governo stabile, però delinea obiettivi e indica ostacoli da superare: una missione che non può essere portata a termine in pochi mesi e che difficilmente potrebbe essere affidata al capriccio delle urne.
L’INTERVENTO DI DRAGHI all’assemblea di Confindustria era atteso con le aspettative dovute a un capo del governo che, a differenza dei predecessori, diserta quasi sempre le comparsate pubbliche. Ad aprire le danze è però l’ospite, un Carlo Bonomi in apparenza ben diverso dall’immagine aggressiva e conflittuale che di solito predilige. Anzi, propone ai leader sindacali un bel Patto per l’Italia: «Perché non lavorare insieme per estendere il più possibile la collaborazione diretta?». Sembra una conversione. Non lo è. Il Patto che ha in mente Bonomi è per Confindustria, non per l’Italia. Il suo discorso lascia pochi dubbi. Sugli ammortizzatori sociali: «Non saremo un bancomat».
Sulle pensioni: «Quota 100 è stata un furto ai danni dei più fragili». Sul blocco dei licenziamenti: finito sempre troppo tardi. Sulla riforma fiscale: «I tre miliardi stanziati non bastano. Bisogna eliminare l’Irap». Sulla transizione ecologica, che potrebbe costare «650 miliardi di euro in 10 anni». Bonomi ha un merito: quello di indicare senza perifrasi nodi reali, perché è vero che i fondi per la riforma del fisco sono risibili e soprattutto che la partita che si giocherà nei prossimi anni in Europa e in Italia gira tutta intorno a chi pagherà i costi, non solo economici ma anche in termini di occupazione, della riconversione energetica e di quella digitale.
DRAGHI RISPONDE indicando come obiettivo principale la vera meta del suo governo, rendere stabile e strutturale una crescita che per ora è essenzialmente rimbalzo, dunque potenzialmente effimera. Elenca gli ostacoli, gli scogli che potrebbero frenare la navigazione verso quel 10% di crescita nel biennio 2021-22 che è in realtà l’ambizioso traguardo a cui mira palazzo Chigi. Una «nuova ondata del contagio», con nuove chiusure che imporrebbero una frenata esiziale all’economia e il Green Pass, in fondo, serve proprio a fronteggiare quella minaccia. Poi «l’aumento dei prezzi e la difficoltà delle forniture in alcuni settori», in particolare la penuria di semiconduttori.
Nessuno sa davvero se l’aumento dei prezzi sarà transitorio o se l’impennata inflazionistica dovuta al rincaro dell’energia diventerà una minaccia e imporrà l’aumento del «tasso di crescita della produttività per evitare il rischio di perdita di competitività internazionale». Il premier annuncia l’intervento tampone che il consiglio dei ministri licenzierà nel pomeriggio, i tre miliardi stanziati per calmierare l’aumento delle bollette del prossimo trimestre, ma assicura che il governo è anche impegnato «a disegnare strategie di lungo periodo». Su un punto Mario Draghi è categorico: non ci saranno aumenti delle tasse, perché questo «è il momento di dare non di prendere». Un sollievo per chi temeva lo spettro della patrimoniale.
IL CUORE DEL DISCORSO di Draghi però è politico e non a caso qui il premier si scosta dal testo che aveva preparato. Improvvisa per rispondere a Bonomi parlando anche lui di un «patto economico, produttivo e sociale del Paese». Azzarda una ricostruzione storica che rintraccia nella «totale distruzione delle relazioni industriali sul finire degli anni ’60» l’origine dei mali ormai endemici del Paese. Non dice che il morbo è nel conflitto sociale, ma è come se lo facesse. Invece bisogna «mettersi seduti tutti insieme e cominciare a parlare di quello che si fa».
Dalla lunga disamina di Draghi, però, sono scomparsi, o derubricati a dichiarazioni rituali, capitoli centrali: chi pagherà i costi della riconversione, come e con quanta urgenza il governo interverrà a sostegno dei molti che nonostante il rilancio dalla mazzata del Covid escono in ginocchio e già prima non se la passavano bene, cosa propone lo stesso governo in materia di delocalizzazioni, chiusure, licenziamenti. Non una parola, infine, per riequilibrare la visione necessariamente molto di parte di Carlo Bonomi. Una pace sociale insomma che, almeno nelle premesse, somiglia molto a quella vagheggiata dal presidente di Confindustria.
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