Draconzio, Boezio, Gramsci, teatro-carcere: prigionia e arte dal mondo antico a oggi
Georges de La Tour, Le prisonnier (oggi titolato Job visité par sa femme), 1635-’50 ca. – Épinal, Musée d’Art ancien et contemporaine
Alias Domenica

Draconzio, Boezio, Gramsci, teatro-carcere: prigionia e arte dal mondo antico a oggi

Saggi «La Musa incatenata» a cura di Maria Jennifer Falcone e Christoph Schubert, da Carocci
Pubblicato un giorno faEdizione del 27 ottobre 2024

I «girarrosti veri o supposti» del prigioniero montaliano, nella seconda delle conclusioni provvisorie della Bufera e altro, celano forse più di un contatto con Il prigioniero (1944-’48) del compositore Luigi Dallapiccola, emblema di una reclusione esistenziale comunque irraggiata da una scintilla di speranza. I rapporti tra ispirazione artistico-concettuale e detenzione – metonimica, reale – segnano una lunghissima traiettoria che affonda le sue radici nel mondo antico e raggiunge a bomba il contemporaneo (e il bombarolo di De André che rinuncia alla sua «ora di libertà» può valere da solida metafora).

La Musa incatenata Prigionia e arte dall’antichità all’età contemporanea (a cura di Maria Jennifer Falcone e Christoph Schubert, con la collaborazione di Edoardo Galfré, Carocci, pp. 320, € 34,00) è un’amplissima rassegna a più voci che indaga tali nessi e la loro pregnanza extra-topologica con un metodo rigorosamente multidisciplinare (à la Morin, per intenderci): si intersecano, infatti, prison literature, storia della filosofia e della musica, materiali iconografici, documenti d’archivio, laboratori di tipo teatrale. Come scrivono Falcone e Schubert nella premessa al florilegio: «Questo volume fa continuamente riferimento all’esperienza del carcere, che sia personale e diretta oppure solo indiretta, nonché all’immaginario carcerario che la società elabora a partire da queste esperienze e che è alla base di quei processi artistici e intellettuali che proprio da queste esperienze e da questo immaginario sono scaturiti».

Divisa in quattro parti, precedute da un prologo e un’introduzione che mette in chiaro alcuni problemi d’impostazione, la Musa incatenata – frutto di un convegno di studi tenutosi a Villa Vigoni nel febbraio 2022 che coinvolgeva specialisti di antichità e modernità – prende le mosse da Socrate, Cicerone, Paolo di Tarso, i martiri cristiani bizantini, Blossio Emilio Draconzio, Aratore e Severino Boezio. Lo sguardo si sposta poi sulle carceri operistiche tra Sei e Ottocento e sulle scene di prigione nelle opere di Georg Philipp Telemann e Dallapiccola, fino alle riflessioni di Antonio Gramsci e all’etica socratica dei resistenti tedeschi nelle galere del Terzo Reich. Infine, si considerano le pratiche di teatro-carcere con casi particolari relativi alla Tempesta scespiriana, alla Sala Prove dell’Istituto penale per i minorenni «Fornelli» di Bari e al Teatro patologico di Roma. L’obiettivo di fondo è un lavoro sul campo nella dimensione teoretica e prasseologica: ben oltre sterili curiosità accademiche, l’intenzione è dare luce nelle fessure delle sbarre, lasciar passare un messaggio di riscatto interiore.

Un momento emblematico della miscellanea riguarda il già citato Draconzio, poeta cristiano, «esponente di spicco dell’élite culturale nordafricana durante l’età vandalica (seconda metà del V secolo d.C.)» che – ricorda Falcone – «è stato privato della libertà in circostanze non del tutto chiare e ha disseminato le tracce di questa esperienza nelle sue opere». Finito ai ceppi durante il regno di Guntamundo per una «colpa» ignota, Draconzio scrive un carme enigmatico, la Satisfactio, costituita da trecentosedici distici elegiaci che si configurano come supplica per il rilascio e orazione a Dio, del quale si loda peraltro la clementia. Un elemento fondamentale del testo è il tempo, vero e proprio Leitmotiv di tutta la «poesia di prigione»: «Tempora servare iussit et ipse Deus. / Horam quaesivit faciens miracula Christus; / horam speravit passio sancta crucis» («Fu Dio in persona a ordinare di osservare i tempi. Cristo attese il momento giusto per compiere i miracoli; la passione santa della croce attese la sua ora», traduzione di M. J. Falcone). Ricalcata sull’Ecclesiaste, la sezione «temporale» della Satisfactio si conclude con l’idea che Dio è padrone assoluto degli evi e delle età, e questo serve a ribadire – sagacemente – che l’ira del sovrano deve avere la sua durata: un periodo limitato.

Altro snapshot interessante è legato al concetto di «trasformazioni molecolari» nei Quaderni di Gramsci. Esse hanno attinenza con la volontà collettiva e la fabbrica del consenso costruita ad hoc dalle dinamiche totalitarie: una «rivoluzione passiva» che lascia però intravedere la filigrana di costrizione in cui sono incasellate esistenze pseudolibere. Osserva giustamente Francesca Antonini a commento del passo gramsciano: «Se ognuno, nella contemporaneità, è sottoposto a un processo di trasformazione molecolare, tanto sul piano collettivo quanto su quello individuale, ognuno è di fatto un “prigioniero” – e, paradossalmente, l’unico che se ne rende davvero conto è proprio colui che più di tutti il carcere lo subisce». Ancora una volta la segregazione è pura immagine di una condizione ben precisa: quella dell’uomo tout court, nella più fulgida attesa di essere prosciolto da sé stesso e dalle proprie opprimenti gabbie per volgere il passo nel territorio del tu, il continente dorato della pienezza.

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