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Dove passa il meridiano del dolore

Dove passa il meridiano del doloreAnselm Kiefer, «I tuoi capelli d'oro Margarethe», 1981, Fondazione Solomon R. Guggenheim: dipinto basato sulla poesia «Fuga di morte», scritta da Celan nel 1945, dal campo di concentramento dov’era imprigionato

Classici tedeschi Le lettere tra Paul Celan e Nelly Sachs, insieme all’inedito carteggio di Peter Szondi, mettono a fuoco l’ultima stagione della simbiosi ebraico-tedesca, che si chiuse fra il 1970 e il 1971

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 18 febbraio 2018

L’ultima stagione della simbiosi ebraico-tedesca si chiude bruscamente, fra il 1970 e il 1971, quando tre dei suoi massimi esponenti, legati l’uno all’altro da rapporti di profonda amicizia e affinità intellettuale, scompaiono uno dopo l’altro: i poeti Paul Celan e Nelly Sachs, e Peter Szondi, giustamente riconosciuto, da molti, come il maggior critico letterario della Germania postbellica. La loro scomparsa – preceduta di un anno da quella di Theodor W. Adorno che a Szondi era stato vicinissimo – infligge un colpo decisivo al tentativo di restituire un’altra, difficilissima opportunità a quel confronto artistico, filosofico e culturale che aveva inciso profondamente nella cultura europea dei primi trent’anni del secolo.

E questo colpo non è frutto del caso o delle coincidenze: Celan mette fine alla sua vita gettandosi nella Senna il 20 aprile del 1970. Tre settimane dopo Nelly Sachs soccombe a un tumore che, da ultimo, ha rifiutato di curare. Il 18 ottobre del 1971 Peter Szondi scompare dalla sua casa di Berlino e viene ritrovato 22 giorni dopo, annegato, nel Wannsee.

Disumano è l’amore
La lettura dei carteggi che collegano i protagonisti di questa vicenda postuma straordinaria e dolorosa della cultura ebraico-tedesca permette di ricostruire le circostanze esistenziali e intellettuali che ne segnarono il destino. Fu l’importanza di queste testimonianze a suggerire a Christoph König e Thomas Sparr, ormai venticinque anni fa, la decisione di pubblicare una scelta molto rappresentativa delle lettere di Peter Szondi (Briefe, Suhrkamp, 1993, che ancora attende una traduzione in italiano). Contemporaneamente, riuscì a Barbara Wiedemann di riportare alla luce il privatissimo carteggio fra Paul Celan e Nelly Sachs, che a oltre vent’anni dalla sua prima pubblicazione italiana (presso il Melangolo) riappare oggi, nell’ottima traduzione di Anna Ruchat, per la casa editrice Giuntina: Corrispondenza (pp. 198, euro  16,00).

Difficilmente si potrebbero immaginare epistolari più diversi; eppure, in qualche modo, essi gettano luce l’uno sull’altro. Non è solo il complesso intreccio di rapporti diretti e indiretti a suggerire l’esistenza di trame sotterranee, in grado di collegare i pensieri e le opere di tutti i protagonisti. È soprattutto il dichiararsi in prosa o in poesia della realtà esistenziale, psicologica e intellettuale dell’uno a far emergere il non detto nella vita degli altri.

Nelle lettere di Nelly Sachs è il capovolgimento del dolore nella speranza in una salvezza puramente desiderata o auspicata a fare da filo conduttore al rapporto con Celan. E viceversa l’orrore si rivela, in esse, come l’autentico contenuto di ciò che salva. «Disumano è l’amore», scrive in una poesia che invia all’amico e alla sua famiglia nel dicembre del 1961: è la cifra del paradosso che segna la condizione umana.
Dinanzi a questa e alle tante altre dichiarazioni di rinuncia all’illusione di poter vivere, Celan nasconde se stesso e accetta il ruolo che Sachs gli chiede di recitare, quello di confidente sicuro e saldo nelle certezze della sua vita familiare. «Gudrun è qui – scrive Nelly Sachs nell’agosto del 60 – (…). E poi ci siete voi. Grazie a questi due farmaci consolatori dell’unica medicina possibile spero di superare tutta la sofferenza che ancora mi aspetta, oppure di trovare una quieta morte liberatrice».

Solo all’inizio Celan è ancora capace di dichiararsi apertamente («Nelly Sachs, cara Nelly Sachs (…) Cosa posso dire? Ogni giorno la perfidia entra nella mia casa, ogni giorno, mi creda. Cos’altro dovremo affrontare noi ebrei?»), ma nel tempo riesce a trovare le parole che gli vengono chieste in nome di una sofferenza in cui riconosce fin troppo bene la radice della propria stessa fragilità: «Nelly cara! Lo vedo, la rete è ancora lì, non la si riesce a rimuovere in un baleno… E tuttavia bisogna rimuoverla, essa può e deve essere rimossa, per amore di tutti coloro cui ti senti vicina, per amore di quella vicinanza, e della tua vitale vicinanza!».

A paragone di questo drammatico dialogo a distanza, che si compone di poche, intensissime parole ma anche di molte poesie che Celan e Sachs si scambiano soprattutto all’inizio della loro amicizia, le lettere di Szondi appaiono assai più distanti e, quasi, congelate nelle forme del rigore intellettuale e accademico che le ispira. Ma è un errore giudicarle solo alla luce di questa apparenza, poiché anch’esse sono parte dello stesso dialogo intrecciato da Celan e Sachs. E non solo perché i due poeti sono fra i destinatari di alcune di esse. Szondi, la cui riservatezza sulla propria esistenza era proverbiale, si lascia andare molto raramente a espliciti sfoghi. E solo una volta – giustificando la sua rinuncia a partecipare a un congresso nelle vicinanze del campo di Bergen Belsen in cui era stato rinchiuso, quindicenne, con la sua famiglia – allude molto vagamente e indirettamente a un’esperienza di cui avrebbe parlato solo a pochissimi, intimi amici. Anche lui, tuttavia, condivide i pensieri e le considerazioni sul presente che alimentano le angosce di Celan e Sachs nascondendoli sotto la forma quasi severa delle sue lettere.

«La forma – ha scritto però Gert Mattenklott, che fu suo allievo – è la distanza che si ha da se stessi. E nelle forme, non solo nelle forme poetiche, appare la vita nelle sue possibilità». Szondi fu certamente un maestro delle forme, e nelle sue lettere esse appaiono, insieme, come un habitus e come ciò che contiene, come scrive a un amico, «l’angoscia, il vuoto e la solitudine in cui vivo».
Ciò che però mostra l’intima appartenenza di questi epistolari e dei loro autori a una sola e comune visione delle cose è la speranza sempre riposta nell’opera come espressione, contenuta nella forma, di una profonda corrispondenza emotiva che spezza o vuole spezzare il circolo della violenza e della sopraffazione. Per questo Celan e Sachs comunicano più con i loro versi che con vere e proprie lettere; per questo Celan dedica a Szondi il Discorso in montagna, il suo unico racconto, ricordo del mancato incontro con Adorno a Sils Maria, e scrive il suo discorso di accettazione del premio Büchner, il Meridiano, ispirandosi a due righe di una lettera di Nelly Sachs («Tra Parigi e Stoccolma passa il meridiano del dolore»); per questo Szondi dedicherà a Celan alcuni dei suoi studi più grandi, senza poter poi finire il libro che avrebbe voluto dedicare alla memoria dell’amico. La speranza è solo in ciò che si oppone alla furia distruttiva del tempo e l’opera è il frutto di questa opposizione.

Un allarme persecutorio
Ma «disumano è l’amore», aveva scritto Nelly Sachs, perché eccede e nega la realtà dell’ordinaria convivenza fra gli uomini. Era perciò inevitabile che la prima interruzione del dialogo, il primo riemergere di una minacciosa violenza dovesse mettere rapidamente fine a questa utopia di resistenza intellettuale e spirituale. E al di là delle crisi personali dei suoi protagonisti, fu anche il timore di veder riemergere uno spaventoso passato a provocare la loro catastrofe.

La paranoia di Nelly Sachs, che anche nell’ospedale psichiatrico in cui va a rinchiudersi avverte la presenza di una minacciosa organizzazione nazista, è forse l’espressione più eclatante della stessa angoscia contro cui anche Celan e Szondi combattono. Accade così che le manifestazioni di piazza e le esplosioni di rabbia che accompagnano i moti studenteschi diventino un campanello d’allarme persecutorio per chi ha già subito una volta la violenza politica della massa. Szondi, che ha invitato a un suo seminario gli studenti più attivi, ma ha poi denunciato in un articolo un tentativo di incendio da essi provocato, subisce una violenta reprimenda che culmina in un volantino in cui si denuncia la «schizofrenia di un ordinario». Celan, che ha inizialmente sostenuto la causa degli studenti, se ne allontana molto presto. La morte di Adorno, conseguenza di una furiosa contestazione degli studenti della Sds, convince, forse definitivamente, Szondi e lo stesso Celan che ancora una volta la cultura ebraica è in pericolo. L’umano ha nuovamente sopraffatto l’amore. E chi ha visto il fascismo non può non temerne il ritorno.

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