Immaginate uno stato teocratico che blocchi la possibilità di comprare alcolici, o uno stato autoritario che punisca gli oppositori politici imponendo limiti alla loro capacità di spesa. Se vi sembra inverosimile, sappiate che sistemi del genere vengono già sperimentati: per esempio, la cashless welfare card, in Australia, impedisce ai beneficiari di assistenza pubblica di spendere i soldi erogati dallo stato in negozi non approvati e per acquistare beni non approvati. È un perfetto esempio delle forme di controllo sociale che possono essere esercitate attraverso i pagamenti digitali.

Secondo l’Intelligence Unit Democracy Index dell’Economist, più di metà dei paesi del mondo ha un governo che mostra tendenze autoritarie e disprezzo per lo stato di diritto. I militanti per i diritti civili in Australia possono protestare conto la cashless welfare card, ma in molti altri paesi la possibilità di manifestare la propria indignazione non è concessa.

QUANDO SI PARLA di sorveglianza dei pagamenti, le persone spesso sono combattute fra la prospettiva di un po’ di sicurezza in più contro lo spauracchio del terrorismo e il nervosismo all’idea di quello che potrebbe succedergli se finissero dal lato sbagliato di questa distopica censura dei pagamenti.
Il dibattito sulla privacy, tuttavia, fa leva essenzialmente su un aspetto più sottile: immaginate che due agenti dello stato si presentino alla vostra porta accompagnati da due venditori di un’azienda che fornisce tecnologie per la sorveglianza video a distanza. Gli agenti dicono: «Abbiamo portato con noi questi uomini per fargli installare delle telecamere nel salone, nella camera da letto e nella cucina di casa vostra». Voi chiedete perplessi il motivo e loro vi rispondono sorridendo: «È per la vostra sicurezza; se non avete niente da nascondere non avete niente da temere».

È un esempio grossolano, ma va dritto al cuore della questione. Alle orecchie di uno spirito patriottico, l’argomentazione degli agenti potrebbe apparire sensata, superficialmente, ma intuitivamente tutta la situazione ci suscita repulsione. E non perché abbiamo «qualcosa da nascondere», ma perché costituisce un’intrusione enorme nella nostra vita privata e tratta persone adulte come se fossero bambini piccoli. È degradante e al tempo stesso irrispettoso.
Nella vita reale, però, questo scenario immaginario coinvolge solitamente operatori commerciali, non rappresentanti dello stato.

I sistemi di pagamenti digitali privati espongono chi li usa a molteplici forme di sorveglianza, ma quando qualcuno glielo contesta i promoter dell’industria dei pagamenti usano (l’ho visto con i miei occhi) lo stesso argomento fraudolento che ho riportato qui sopra, sottolineando che loro sono bravi cittadini senza nulla da nascondere alle autorità e che sicuramente lo siete anche voi.

IL SOTTINTESO è che se uno desidera riservatezza significa che ha qualcosa da nascondere, e non che vuole semplicemente essere trattato come una persona adulta. Posso rispettare il fatto che uno stato legittimo voglia indagare su di me, ma devono mandare degli agenti a farlo.
Non spetta a me fare il lavoro per loro consegnandomi volontariamente a un monito raggio costante.
Sfortunatamente, le tecnologie di microsorveglianza stanno proliferando in ogni campo. Ne ebbi un esempio quando facevo l’house sitter in un minuscolo monolocale di San Francisco. Dopo un giorno che stavo nell’appartamento, scoprii che la proprietaria aveva una piccola telecamera «domotica» nascosta sul caminetto per controllare a distanza il gatto mentre era via. Impallidii: avevo girato per l’appartamento nudo ascoltando musica a tutto volume. Improvvisamente consapevole che tutto quello che facevo nel suo monolocale poteva essere osservato, cambiai immediatamente il mio comporta mento e cominciai a girare per la stanza senza far rumore, vestito di tutto punto, e presi l’abitudine di rannicchiarmi sotto la telecamera per avere qualche momento di tregua.

È QUELLO che viene chiamato effetto panopticon. Appena ti rendi conto che le tue azioni private potrebbero essere soggette a un monitoraggio nascosto, ti senti intimidito. Anche il fatto che la capacità tecnica di monitorare i pagamenti esista, indipendentemente se poi vengono monitorati o meno, può avere questo effetto. Se le cose che comprate possono influenzare qualsiasi cosa, dal vostro merito di credito al vostro premio assicurativo e alla vostra posizione nella classifica dei bravi cittadini, le vostre abitudini di spesa ne verranno condizionate psicologicamente e diventerete titubanti, sempre sul chi vive.
Finora questa autocensura non la percepiamo granché, perché i nostri sistemi di pagamento continuano a essere frammentati tra forme fisiche e forme digitali, ma le cose stanno cambiando. Un accentramento si profila all’orizzonte.

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SCHEDA.  IL FESTIVAL DI «INTERNAZIONALE», FINO AL 2 OTTOBRE

L’attivista e giornalista economico sudafricano Brett Scott sarà ospite a Ferrara, per intervenire sul tema, sabato primo ottobre (ore 14:30, Chiostro di San Paolo) nell’ambito di «Internazionale», il festival dell’omonimo settimanale che si terrà nella città estense da domani al 2 ottobre, per un weekend di appuntamenti – 160 ore di programmazione, 200 ospiti da 30 paesi, per oltre 110 incontri e 10 workshop – con giornaliste e giornalisti di tutto il mondo. In particolare Brett Scott presenterà «Cloudmoney» (in uscita domani 30 settembre per Il Saggiatore, pp. 312, euro 26, traduzione di Fabio Galimberti) che racconta l’esito di una lunga indagine per svelare la rete di aziende finanziarie e tecnologiche che vogliono sostituire il denaro materiale con quello virtuale, con specifico riferimento al possesso dei nostri dati. Tra le e gli ospiti di questi giorni ferraresi: ikhon Dzyadko, Nataliya Gumenyuk, Carol Pires, Ricardo Rao, George Monbiot, David Broder, Eric Jozsef e altri. Per informazioni sul programma si può visitare il sito www.internazionale.it/festival/programma/2022