Dostoevskij scriveva male: tra chi legge il russo è una delle considerazioni che più spesso, a «microfoni spenti», si sente ripetere. Il sublime radiografo degli abissi dell’animo sarebbe un prosatore sciatto, brusco, che aggruma giornalisticamente il pensiero. E anzi, proprio questo suo disinteresse per la forma ne avrebbe garantito un’indolore trasponibilità in lingue straniere e il successo planetario. Mai calunnia è stata più subdolamente prossima al vero. Rendere in italiano lo «scriver male» di Dostoevskij è la sfida essenziale che affronta Claudia Zonghetti nella sua nuova versione in due volumi dei Fratelli Karamazov (Einaudi, pp. 453 + 607, euro 32,00),...