Internazionale

Dopo Parigi, è il momento di aprire gli occhi

Charlie Hebdo La speranza è nelle donne arabe, non nelle strategie dei loro giovani principi e nella cecità politica dei nostri capi di stato

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 15 gennaio 2015

Le immagini di tutti quei capi di stato a braccetto testimoniano quanto grande è la debolezza politica dell’Europa. Tutti insieme a difesa dello status quo. E con il flauto magico dei mezzi di comunicazione di massa hanno attirato in piazza quel milione e mezzo di persone che sa usare le matite, anzi i computer, mentre a casa è rimasto quel 24% di elettori che ripudia sia i musulmani, sia i vignettisti brutalmente assassinati.

La domanda è: che cosa sarebbe stato meglio fare? Lasciare i poveri morti alle famiglie e agli amici e non farne arma ideologica: non è più tempo per noi per i conflitti religiosi e etnici. Affrontare la sfida di autonomia che viene dall’Oriente, vicino, medio e lontano. Non ne possono più di noi europei e (ancor più) degli americani. Quello che abbiamo combinato dopo l’11 settembre è stata la goccia di un vaso già stracolmo da secoli.

L’autonomia è un obiettivo che da qualche tempo si sono posti i giovani prìncipi arabi, gli sceicchi, i capi clan che da noi hanno appreso tutto quello che gli serviva, l’economia finanziaria, la tecnica, e gli strumenti del consenso di massa. Il loro ricorso al fondamentalismo religioso è simile al nostro nazionalismo identitario di un non lontano passato.
Le élite teocratiche hanno la funzione dei nostri precedenti capi «dio, patria e famiglia», servono a controllare popoli e territori in funzione delle strategie di potere di coloro che hanno il potere.

Un potere che origina dalla forza di un clan e che al presente sta nell’uso del petrolio e nelle altre riserve naturali. I giovani prìncipi arabi sono consapevoli più di noi che il nostro capitalismo ha ancora bisogno del loro petrolio. Che le Borse possono andare su e giù sia che ne pompino molto e sia poco.

Al presente stanno giocando al gatto e topo, mettendone troppo sul mercato. E noi a chiederci: vogliono rovinare la Russia e il Venezuela, o il vero obiettivo è il mercato energetico Usa? Oppure c’è dietro la Cina con le sue necessità e le sue politiche di penetrazione nelle ex colonie europee? Nella partita in corso la pressione economica è evidente solo a chi se ne intende, mentre per spaventare l’uomo bianco sulla scena campeggiano atti di violenza ai danni di ostaggi bianchi.

A catturarli sono giovani uomini ispirati da religiosi che predicano nelle mosche, e usano le più avanzate tecnologie. Chi gliele mette a dispozizione? Come sappiamo lunedì un misterioso CyberCaliphate ha lasciato un messaggio ironico sull’account del Comando centrale militare americano! Chi e dove sono hacker capaci di tanto? Qualche risposta si trova cliccando http://bizshifts-trends.com. Vi è analizzata la rete che lega le élite agli abitanti della penisola araba e molto più in generale ai credenti musulmani.

Tra di essi vi erano i tre francesi di Parigi che dall’alto dei cieli avranno assistito orgogliosissimi alla sfilata dei capi di stato occidentali. Non dall’alto dei cieli ma nelle loro mirabolanti case, altri capi con dietro non stati, bensì regni, emirati, tribù e clan, li hanno visto sfilare. E forse stanno aspettando che ci decidiamo ad ascoltare Kissinger, il quale insiste che bisogna ripartire dalla politica e dalla diplomazia. Che bisogna trattare alla pari con i giovani prìncipi arabi. Alla pari significa riconoscere le loro diversità invece di aspettare che prima o poi faranno come i loro padri e antenati, come il nostro ultimo «zio Tom», il re di Giordania. Non vale più. Gli uomini dei giochi finanziari transnazionali se ne sono resi conto ben prima dei nostri uomini della politica.

E dunque negli affari coloro che siedono ai tavoli che contano, valgono per quello che hanno. I giovani capi arabi che molto hanno, si aspettano di essere politicamente riconosciuti, usando la cultura dell’estremismo nella vita quotidiana nei loro paesi. Sarebbe il momento di dimostrare che ben altra è la nostra cultura. La speranza sta nelle loro donne, escluse da ruoli e diritti pari a quelli dei loro uomini. Sono esse che dal loro interno devono lottare per averli. È una lotta che al momento appare in contraddizione con quella che i loro uomini stanno facendo con noi.

In teoria la lotta potrebbe risolversi in un compromesso reciproco: noi rispettiamo la loro autonomia, le loro donne ottengono la loro di autonomia. In una tale prospettiva estremismo e califfi avrebbero molto meno spazio. E non vi sarebbero più bambine kamikaze e bambini killer. La speranza è nelle donne arabe, non nelle strategie dei loro giovani principi e nella cecità politica dei nostri capi di stato.

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