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«Dopo il virus ripensiamo il mondo»

Intervista Adelaide Charlier, giovane leader mondiale belga nella lotta ai cambiamenti climatici: «Spero che il 2021 sia un anno in cui si continui a mettere il discussione il nostro modo di vivere»

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 21 gennaio 2021

Adelaïde Charlier è una delle leader mondiali dei movimenti giovanili impegnati nella lotta ai cambiamenti climatici.

Iscritta al terzo anno di università in Scienze politiche e sociali all’Università libera di Bruxlles, è stata la voce (francofona) del movimento belga, fra i primi al mondo a cogliere l’invito dell’attivista Greta Thumberg con lo sciopero delle lezioni scolastiche (del giovedì nella versione belga), e ad attirare l’attenzione dei media.

Il successo mondiale del movimento è riuscito nel corso di tutto il 2019 a sensibilizzare l’opinione pubblica e le classi dirigenti sulle tematiche ambientali e sui rischi legati ai cambiamenti climatici. Poi nel 2020 è arrivato il coronavirus. Ma la giovane attivista ci invita ad «utilizzare gli aspetti positivi di questa crisi sanitaria per accelerare la risoluzione delle altre crisi in corso», come per esempio quella climatica, rimettendo in discussione il mondo con cui l’umanità interagisce con gli elementi naturali.

Autrice di una lettera aperta indirizzata alla classe dirigente europea è riuscita nel corso del 2020 insieme alla svedese Greta Thunberg, la belga Anuna De Wever e la tedesca Luisa Neubauer a sensibilizzare vari leader europei e ad incontrare, questa estate, la cancelliera tedesca Angela Merkel, la quale ha promesso più attenzione sulla questione climatica.

Il 2020 doveva essere l’anno della svolta climatica invece è arrivato il coronavirus.

Per il 2020 ci aspettavamo una risposta da parte del mondo politico in materia di lotta ai cambiamento climatici. Poi è arrivata la crisi sanitaria che ha attirato, giustamente, l’attenzione mediatica, ma che ha lasciato in secondo piano le altre crisi, da quella climatica a quella sociale. Da questo punto di vista l’arrivo del coronavirus è stato un vero disastro. Ma ci sono degli aspetti positivi, ad esempio nella ricerca dell’origine del virus, la messa in discussione del modo con cui interagiamo con il mondo naturale.

La Cop26 di Glasgow sul clima è stata rinviata a causa del coronavirus, segno che il clima non è una priorità?

Oggi siamo in piena crisi sanitaria, ma questo non vuol dire che le altre crisi si siano fermate. Al contrario. Chiaramente annullare questo evento, quello che avrebbe dovuto fare il bilancio dopo cinque anni dall’accordo di Parigi, ci fa perdere del tempo, del tempo che non abbiamo. Questo ritardo però ci permetterà di arrivare all’appuntamento del 2021 ancora meglio preparati.

La mobilitazione per il clima non si è fermata nel 2020, come vi siete adattati alla nuova situazione?

Con l’arrivo del confinamento abbiamo annullato tutti i nostri eventi. Ma questo non ci ha demotivati e la mobilitazione si è spostata sui social network. Quello che non siamo riusciti a fare è sensibilizzare, come nel 2019, le persone che si mostrano meno interessate alle problematiche climatiche.

Ci saranno altri scioperi globali per il clima come quelli che sono stati organizzati nel 2019?

Appena possibile torneremo a manifestare nelle piazze.

Perché il carattere d’urgenza per il clima non ha presa presso l’opinione pubblica come per il coronavirus?

Si ha spesso l’impressione, soprattutto noi europei, che la questione climatica non ci riguardi. Eppure le conseguenze dei cambiamenti climatici, nel lungo termine, saranno ancora più distruttive del coronavirus. Credo che la crisi sanitaria ci tocchi nell’immediato, su argomenti caldi come la salute e la morte. Le conseguenze dei cambiamenti climatici possono invece essere percepite come lontane da noi ed è più facile avere un atteggiamento di scetticismo nelle relazioni causa-effetto per le questioni climatiche, rispetto ad una crisi sanitaria.

Le politiche per fermare il contagio da coronavirus sono drastiche, spesso impopolari. Non ci vorrebbe la stessa fermezza in materia di lotta all’emergenza climatica?

Viste le condizioni imposte in materia di lotta alla crisi sanitaria, oggi non possiamo più accettare i propositi della classe politica per una transizione ecologica dolce poiché i cittadini non sono pronti. Soprattutto perché i cambiamenti che chiediamo in materia di politiche climatiche sono meno drastici di quelli imposti dall’emergenza sanitaria. Alla luce di quello che abbiamo visto con le misure coronavirus, credo che se la classe dirigente fosse in grado di spiegare le ragioni di un cambio di rotta per arginare le conseguenze del cambiamento climatico, i cittadini saprebbero rispondere positivamente.

Recentemente il presidente francese Macron incontrando i membri della «Convention citoyenne pour le climat» ha dichiarato: «Le scelte per l’ecologia devono essere accettabili per tutti i francesi».

Un processo di transizione ecologica deve essere attivato e credo che lo Stato debba poter essere il motore di un cambiamento che non lasci nessuno indietro. Prendiamo il caso di un settore che non ha futuro, come quello dell’energia fossile. Il pubblico deve farsi carico della riconversione professionale dei lavoratori del settore. Credo che l’obiettivo principale sia di lavorare insieme per cercare di creare delle alternative.

Nel 2019 le giovani generazioni hanno chiesto più attenzione per il clima. Nel 2020 sono state imposte misure quali la chiusura (parziale) delle scuole o la riduzione dei contatti sociali per preservare le generazioni più anziane. Credi che dopo questa pandemia un patto fra generazioni sia possibile?

Il dialogo fra generazioni credo che sia fondamentale. La questione climatica è oggi una tematica intergenerazionale. Non ci sono più solo i giovani per il clima, oggi ci sono i cittadini per il clima. Tutti noi, dobbiamo adottare un atteggiamento inclusivo ed integrare le rivendicazioni e le azioni per arginare le altre crisi in corso, inclusa quella sanitaria. C’è un nuovo mondo da costruire e dobbiamo farlo tutti insieme.

Cosa vi aspettate per il 2021?

La crisi sanitaria da coronavirus ci dice che c’è un cambiamento da mettere in atto e spero che il 2021 sia un anno in cui si continui a mettere in discussione il nostro modo di vivere.

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