Pubblicati 48 ore dopo il presunto varo del cosiddetto «decreto lavoro» del primo maggio, i dati sull’occupazione dell’Istat a marzo 2023 ieri hanno prodotto un carosello di dichiarazioni da parte della maggioranza su un aumento congiunturale dell’occupazione «permanente» e di quella degli autonomi sia rispetto al mese di febbraio che rispetto all’anno trascorso.

Parliamo di più 22 mila occupati a marzo, 297 mila in più rispetto a marzo 2022, la disoccupazione è in calo al 7,8 per cento (1 milione 980 mila disoccupati). L’occupazione a termine è in calo.

Per la presidente del consiglio Giorgia Meloni «è il frutto del clima di fiducia percepito dalle imprese in questi primi sei mesi di governo. Sono dati molto incoraggianti continueremo a dare risposte concrete».

Sei mesi di miracoli, a quanto pare. Dato che prima di tre giorni fa il governo non si è occupato in maniera significativa di lavoro, se non precarizzandolo e non disturbando le imprese che «fanno», ora sembra che con la sola imposizione delle mani avrebbe «riattivato il mercato».

A febbraio quando invece c’è stato un calo non ha fiatato.

La ripresa occupazionale non dipende dal governo Meloni, ma segue una scia iniziata da più di un anno, dopo la fine dei lockdown e delle casse integrazioni. Però è chiara l’ideologia sottostante alla sua narrazione. Serve a giustificare l’esistenza di un «lavoro» purchessia, senza qualità.

E questo non vale solo per motivi di consenso, ma anche per i poveri «occupabili» a cui sarà tolto il «reddito di cittadinanza». Vadano a farsi sfruttare nei campi e tra i tavoli dei ristoranti. Se non lo fanno è colpa loro.

Non c’è politico che non abbia speculato sui dati dell’Istat o dell’Inps. Al tempo del Jobs Act del Pd di Renzi si raggiunsero vette tossiche e sfondoni colossali.

La strategia è valida oggi con le destre che fanno i meterologi. Sentono cioè il «clima» del «libero mercato» e lo dirigono attraverso il governo.

Come se fossero a capo di un’economia pianificata guidata da qualche cervellone a Palazzo Chigi, o al ministero dell’Economia. Ne sono passati diversi, in pochi se ne sono accorti.

I dati dell’Istat non sono facilmente leggibili, né è chiaro in quali settori aumenti l’occupazione, quali siano le tipologie dei lavori, né la loro qualità.

Si possono fare delle ipotesi incrociando i dati congiunturali con quelli del rapporto «Il mercato del lavoro: dati e analisi marzo 2023», redatto dal Ministero del Lavoro, Banca d’Italia e Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal). L’aumento dell’occupazione va misurato rispetto al crollo registrato durante la pandemia.

Nell’ultimo anno è avvenuta una ripresa che è rallentata negli ultimi sei mesi del 2022. Tra gennaio e febbraio sono stati creati oltre 100 mila posti, al netto delle cessazioni, un incremento maggiore di circa un terzo rispetto agli stessi mesi del 2019, precedenti la pandemia.

L’aumento è trainato dai servizi, in particolare dal turismo che ha prodotto un quinto delle posizioni create nel primo bimestre di quest’anno.

Coincidenza: i voucher imposti dalle destre saranno usati anche in questo settore di lavoro precario. L’aumento riguarda anche l’industria per la ripresa dei settori a maggiore intensità energetica che, nell’ultima parte del 2022, hanno beneficiato del calo dei prezzi dell’energia. Le costruzioni fanno registrare andamenti sostanzialmente stabili.

Un altro dato dell’Istat è significativo: gli occupati totali a marzo sono 23 milioni 349 mila. Un record rispetto alle serie storiche. Ma l’andamento resta quello degli ultimi anni.

La quantità è in sostanza la stessa del 2008 con scarse oscillazioni solo in caso di crisi o per la pandemia. Lo conferma il tasso mensile di occupazione e di inattività. Sono stabili – 60,9 per cento e 33,8 per cento rispettivamente.

Sono tra i più deboli dell’Eurozona. Conferma di un’economia stagnante, con un tasso di crescita che da quest’anno tornerà ad essere da prefisso telefonico.