Il crollo del ponte a Genova scatena la psicosi ad Agrigento. Qui si trova il viadotto «gemello» realizzato da Riccardo Morandi, collega la città dei Templi a Porto Empedocle. Quattro chilometri, una strada a due corsie per senso di marcia, in massima parte sorretta da piloni. Sul ponte c’è un’inchiesta della Procura, tre anni fa fu chiuso per cedimenti e pericolo di crolli e in parte riaperto per un breve periodo. Quel ponte, sequestrato dai magistrati, ora fa più paura di prima.

IL VIADOTTO fu costruito su progetto dell’ingegnere Riccardo Morandi nel 1970. Lo stesso progettista realizzò nel 1968 il ponte sul Salso a Licata (Agrigento). Chiuso nel marzo 2015 dall’Anas per la messa in sicurezza, il viadotto Morandi fu riaperto nel luglio dello stesso anno solo ai mezzi leggeri. Durante quei mesi è stato sottoposto, dai tecnici dell’Anas, a carotaggi e prove di stabilità e resistenza che avrebbero dimostrato come la campata interdetta non sia a rischio col solo passaggio di mezzi leggeri. Ma l’anno scorso l’associazione Mareamico ha diffuso un filmato per denunciare il degrado strutturale dei piloni.

NEL VIDEO e nelle foto erano visibili i danni subiti dai piloni, con l’armatura di ferro scoperta perché il cemento si era sbriciolato. Dopo la denuncia di Mareamico, la Procura aprì un’inchiesta per verificare se «il viadotto costituisca un pericolo per la pubblica incolumità». E il sindaco di Agrigento, Calogero Firetto, ne chiese la chiusura. Per mesi, quest’anno, si è svolto un dibattito sulla possibilità di non ristrutturare il viadotto ma di abbatterlo realizzando una viabilità alternativa. L’Anas però lo sta ristrutturando.

GLI INTERVENTI PREVISTI sul viadotto Morandi, Akragas I e II della statale 115 quater, dovrebbero terminare nel 2021 con un costo di circa 30 milioni di euro. «Credo che il dramma che Genova sta vivendo renda necessaria una riflessione sulla funzione del viadotto di Agrigento rispetto ai rischi connessi alla vetustà della struttura e sulla durata nel tempo di un così complesso intervento conservativo – sostiene il sindaco -. Tornano di pressante attualità le valutazioni fatte ai vertici Anas di riconsiderare le decisioni adottate e di valutare la realizzazione o il potenziamento di percorsi alternativi».

L’ANAS, sempre sulla Agrigento-Porto Empedocle, tiene sotto osservazione tre viadotti: Spinola, Salsetto e il ponte Zubbie o Re le cui condizioni sono molto precarie.
In Sicilia il caso più eclatante fu quello che si verificò lungo l’autostrada Palermo-Catania: il 10 aprile del 2015 una frana tranciò un pilone del viadotto Himera nella carreggiata verso Palermo. Solo per miracolo in quel momento nessuno rimane coinvolto dal crollo, ma la Sicilia per diversi mesi è stata divisa a metà con tempi di percorrenza superiori alle cinque ore tra le due città principali.

L’ELENCO delle strade interrotte, crollate o franate è sterminato. Si va dalla provincia di Caltanissetta, dove i crolli cominciano nel 2009, quando sulla strada statale 626 (Caltanissetta-Gela) il viadotto Geremia si spezzava in due. Allagate e franate le strade statali 121 e 191 nei pressi di Mazzarino, mentre nei dintorni di Sutera tanti i movimenti franosi, smottamenti e colate di fango.
Clamoroso il caso del viadotto Scorciavacche, nell’agrigentino, inaugurato alla vigilia di Natale e crollato a Capodanno: era il 2014. Due estati fa è crollato il viadotto Petrulla sulla strada tra Licata e Ravanusa, mentre il viadotto Verdura (Agrigento – Sciacca) era collassato nel 2013. Non pervenuti i percorsi interni alla provincia di Enna dove, per la sezione locale della Cgil, su 120 strade ben 40 risultano chiuse: l’ultima è la panoramica 28, crollata due anni fa.

STERMINATO l’elenco delle strade dissestate tra Palermo e Trapani: si va dalle frane della provinciale 26 al cedimento della 110, dal crollo della statale 113 nei pressi di Trabia fino alla provinciale 18, che collega Palermo a Piana degli Albanesi, chiusa da tempo. Esilarante poi quanto si registra sulla provinciale 4 che collega Corleone a San Cipirrello: qui la strada è stata ripristinata autonomamente dagli abitanti della zona, impossibilitati a raggiungere i propri appezzamenti di terreno, senza ovviamente seguire alcuna norma sulla messa in sicurezza del percorso.