Il 2 % del Pil per gli armamenti e le spese militari, solo lo 0,2% per la azioni di cooperazione internazionale allo sviluppo e le emergenze umanitarie. Nello squilibrio drammatico tra queste due evidenti cifre tutt’altro che aritmetiche è riassunto tutto il passaggio, o meglio il piano inclinato, che da una visione di welfare a livello nazionale, europeo e mondiale, sembra scivolare ormai sempre più velocemente e senza alcuna soluzione di continuità verso il warfare globale.

E naturalmente dell’approvvigionamento energetico Per molte parti del mondo si profila all’orizzonte un drammatico deficit nella capacità di creare nuova ricchezza e un allargamento della povertà. Per altri paesi l’orizzonte plausibile è la crescita della miseria e della fame, con la caduta della speranza di vita.

Nel “nord globale”, la capacità di creare ricchezza sarà sempre più concentrata, con modelli di business sempre più refrattari alla concorrenza. Il “piccolo capitale” sarà ancor più in balia del “grande capitale”, come mostrato dalle analisi dell’economista Emiliano Brancaccio. In questa situazione, è inevitabile pensare a forme di tassazione sui grandi patrimoni. Come evidenziato dalla ricerca di D. Guzzardi, E. Palagi, A. Roventini e A. Santoro in Italia la fiscalità è regressiva per il 5% più ricco dei contribuenti, che pagano aliquote inferiori rispetto al 95%. Dal momento in cui veniamo al mondo, godiamo di servizi pubblici che consentono la nostra stessa esistenza.

Sono le tasse a sostenere tali servizi, a partire dalle due funzioni essenziali dello Stato: mantenere la pace e dare attuazione ai diritti costituzionali. In questo modo le tasse si legano alla vita democratica, che ci appare come “data per scontata” ma così non è. Il problema non sono allora le tasse, ma l’iniqua ripartizione del loro carico a vantaggio di una ristretta cerchia di ricchi e ricchissimi, da una parte, e l’evasione e l’elusione fiscale, dall’altra.

L’emergenza sanitaria del 2020 ha reso quanto mai evidente che i servizi pubblici sono a beneficio di tutti: occorre rivalutare le tasse e riscoprire l’importanza che il loro peso sia sostenuto da ciascuno in rapporto alle sue capacità. Ma per farne cosa? Per esempio per dare lavoro a giovani laureati: con un modesto prelievo patrimoniale si potrebbero creare un milione di posti di lavoro nella Pubblica Amministrazione.

I nostri studi suggeriscono che un aumento di circa un milione di unità può essere finanziato agevolmente con una imposta di solidarietà sulla ricchezza finanziaria (quindi non sugli immobili), con aliquote molto basse. Un piano straordinario di assunzioni è necessario perché gli occupati nel settore pubblico in Italia sono eccezionalmente pochi se confrontati ai paesi coi quali amiamo paragonarci, come la Francia, la Germania e il Regno Unito.

C’è poi la proposta del Forum Diseguaglianze e Diversità sull’eredità universale a partire dalla revisione delle imposte sulle grandi eredità e donazioni, discussa anche nelle agorà del Partito Democratico. Altra cruciale urgenza è il potenziamento dell’infrastruttura dei diritti di cittadinanza, che sono spesso solo formali e non sostanziali, causando diseguaglianze individuali e territoriali. Proposta, questa, che mira a combattere le diseguaglianze a monte della produzione di ricchezza, non solo a valle. Il rafforzamento dell’occupazione pubblica e della capacità pre e post-redistributiva dello Stato, si può quindi accompagnare a risorse per i giovani, a una nuova politica infrastrutturale e alla transizione ecologica produttiva, come mostrato dal caso Gkn e dalla messa a punto di un piano di riconversione dello stabilimento di Campi Bisenzio, nel fiorentino, elaborato con la rete di economisti della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Il caso Gkn ha mostrato la possibilità di un percorso di transizione sostenibile, orientato al futuro e allo sviluppo del territorio, dove la conoscenza “di fabbrica” ha incontrato il sapere “esperto” della ricerca.

Un modello di grande portata innovativa, radicale e tecnicamente fondato, che dovrebbe essere incentivato dalla politica. Il caso Gkn mette in luce come la disintermediazione possa costituire una leva decisiva per l’innovazione istituzionale. Ciò indica, più in generale, che il necessario rafforzamento dell’azione pubblica deve essere accompagnato da un processo di delegificazione e disintermediazione sostanziale, che faciliti la redistribuzione del potere di “voice” collettiva e di azione.

Per un nuovo e migliore Stato, fondato su giustizia fiscale, lavoro e infrastrutturazione, occorre anche delegificare e disintermediare, eliminare le rendite e redistribuire il potere di azione. Ci sono organizzazioni, intermediari professionali ed enti la cui ragione d’essere deriva quasi esclusivamente dalla complessità procedurale e il cui interesse non è fornire un servizio, ma riprodurre ruoli e posizioni di rendita. La costruzione di uno Stato migliore, dopo una pandemia e una guerra, passa anche da questa strada.

@FilBarbera