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Dopo gli ogm ci nutriranno i «big data»

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In materia di cibo e agricoltura, il futuro può prendere due strade opposte. Una porta a un pianeta morto: spargimento di veleni e diffusione di monocolture chimiche; indebitamento per l’acquisto […]

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 23 novembre 2017

In materia di cibo e agricoltura, il futuro può prendere due strade opposte.

Una porta a un pianeta morto: spargimento di veleni e diffusione di monocolture chimiche; indebitamento per l’acquisto di sementi e fitofarmaci, causa di suicidi di massa fra gli agricoltori; bambini che muoiono per mancanza di cibo; aumento delle malattie croniche e dei decessi dovuti alle carenze nutrizionali e alle sostanze avvelenate vendute come cibo; devastazione climatica che mina le condizioni stesse della vita sulla Terra.

La seconda strada è quella del rinnovamento del pianeta grazie all’agroecologia, al ripristino della biodiversità, al rispetto del suolo, dell’acqua e delle piccole unità agricole, affinché tutti nel mondo possano avere accesso a un’alimentazione sana.

La prima strada è quella industriale, ed è stata tracciata dal cartello dei veleni. Dopo le due guerre mondiali, le compagnie trasformarono le loro armi chimiche in sostanze agrochimiche, come pesticidi e fertilizzanti. E convinsero il mondo che senza questi veleni non era possibile ottenere raccolti e produrre cibo.

Nel 1990 ci dicevano che gli Ogm avrebbero annullato tutti i limiti imposti dall’ambiente, permettendo la crescita di cibo dovunque, compresi i deserti e le discariche di materiali tossici.

Oggi ci sono solo due applicazioni degli Ogm: la resistenza agli erbicidi e le colture Bt. La prima applicazione è stata decantata come metodo per il controllo delle erbe infestanti – in realtà ne ha create di super resistenti; quanto alle colture Bt, si supponeva che sarebbero riuscite a tenere a bada i parassiti, quando in realtà ne hanno sviluppati di super-resistenti.

L’ultima grande notizia è che i «big data» ci nutriranno. Monsanto parla di «agricoltura digitale» basata sui «big data» e sull’«intelligenza artificiale». Prefigura anche un’agricoltura senza agricoltori.

Non sorprende che l’epidemia di suicidi fra i contadini indiani e in generale la crisi degli agricoltori in tutto il mondo non abbiano suscitato le dovute risposte da parte dei governi: questi ultimi sono così tenacemente e ciecamente intenti a costruire il prossimo tratto dell’autostrada verso la morte da ignorare l’intelligenza dei semi viventi, delle piante, degli organismi del suolo, dei batteri del nostro intestino, dei contadini e delle montagne di esperienza e saggezza costruite nei millenni. I piccoli contadini producono il 70% del cibo globale usando il 30% delle risorse totali destinate all’agricoltura.

L’agricoltura industriale invece usa il 70% delle risorse, generando il 40% delle emissioni di gas serra, per produrre il 30% soltanto del cibo che mangiamo.

Climate Corporation, la più grande compagnia al mondo per i dati sul clima, e Solum Inc., la più grande compagnia al mondo per i dati sul suolo, sono oggi di proprietà di Monsanto. Queste due compagnie vendono solo dati. Ma i dati non sono conoscenza.

Sono solo un’altra merce destinata a rendere l’agricoltore ancora più dipendente. Non possiamo affrontare i cambiamenti climatici e le loro reali ed effettive conseguenze senza riconoscere il ruolo centrale del sistema alimentare industrializzato e globalizzato, che genera fino al 40% delle emissioni di gas climalteranti a causa dei seguenti fattori: deforestazione, allevamenti intensivi, imballaggi per alimentari in plastica e alluminio, trasporti su lunghe distanze e spreco di cibo.

Non possiamo risolvere i cambiamenti climatici senza l’agricoltura ecologica e su piccola scala, basata sulla biodiversità, sui semi viventi, sui suoli vitali e sui sistemi alimentari locali, riducendo al minimo i trasporti di derrate alimentari ed eliminando gli imballaggi in plastica.

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