Internazionale

Dopo 22 anni di terrore Il Gambia archivia Yahya Jammeh

Dopo 22 anni di terrore Il Gambia archivia Yahya JammehYahya Jammeh, 51 anni, da ieri ex presidente del Gambia, con la First Lady Zineb all’uscita del seggio in cui ha votato giovedì – Reuters

Colpo di scena L'affermazione dell'uomo d'affari Adama Barrow alle elezioni presidenziali nel piccolo paese africano, sempre più al centro dei flussi migratori verso l'Europa

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 3 dicembre 2016

In Africa la sorpresa più grande arriva dal paese più piccolo, il Gambia, dove il lungo e incontrastato regno di Yahya Jammeh sembra giunto al capolinea. Questo almeno dicono i risultati delle presidenziali che si sono svolte giovedì: con uno scarto di 50 mila voti ne esce vincitore Adama Barrow, un uomo d’affari sostenuto da un cartello di sette partiti dell’opposizione. Ma la festa esplosa a Banjul e negli altri centri urbani del paese subito dopo l’annuncio della sua vittoria gesteggiava soprattutto la sconfitta di Sua Eccellenza il Saggio Professor il Puro dottor Yahya AJJ Jammeh Babili Mansa (Conquistatore dei Fiumi).

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Di Barrow si sa che ha 51 anni come Jammeh, che ha fatto la guardia di sicurezza per pagarsi gli studi a Londra, che dopo alcune esperienze manageriali in Inghilterra nel 2006 è tornato in Gambia da imprenditore ed è diventato un big del mercato fondiario e immobiliare. La vera discesa in campo risale appena allo scorso luglio, dopo l’arresto di alcuni dirigenti dell’Udp (United democratic party), una delle sette formazioni che lo hanno appoggiato alle elezioni.

VICEVERSA DI YAHYA JAMMEH è piuttosto noto il pugno di ferro con cui ha guidato il paese nel corso degli ultimi 22 anni. Ed è noto che sarebbe andato avanti, «a dio piacendo – come auspicava – per un altro miliardo di anni». Per allungare a dismisura la lista dei titoli onorifici con cui faceva precedere il suo nome, alla maniera dei vecchi monarchi africani. In un crescendo di ostentazione della fede islamica che inizia con il titolo di Hadj – conseguente al pellegrinaggio alla Mecca – e sfocia nel 2015 con la proclamazione della Repubblica islamica del Gambia. Il rosario musulmano sempre in una mano, il bastone del precettore nell’altra, sempre avvolto in un enorme boubou immacolato.

Nel 2013 decise di celebrare a modo suo la ricorrenza dell’Eid ordinando l’esecuzione dei detenuti dimenticati da 27 anni, da tanto durava la moratoria, nel braccio della morte. Il boia si fermò a nove, quando la pressione internazionale su Jammeh divenne insopportabile. Nello stesso anno improvvisa la sua micro-Brexit, portando il Gambia fuori dal Commonwealth. E va all’Onu a lamentarsi del modo in cui l’Occidente si apre ai diritti degli omosessuali. Intanto del piccolo Gambia, nel mondo si parlava solo, e a stento, riguardo a storie di turismo sessuale femminile.

DOPO LE PRIME ORE di incredulità seguite all’annuncio della Commissione elettorale, ieri Jammeh avrebbe ammesso la sconfitta. Cosa non scontata, per un leader che al potere era arrivato da giovane ufficiale, sull’onda di un golpe. Poi quattro tornate elettorali con percentuali sempre in ascesa (nel 2011 aveva superato il 71%), mentre parallelamente cresceva la fama sinistra del dittatore eccentrico e spietato, un ultraconservatore allergico agli oppositori politici, ai gay, ai rapper e ai giornalisti. Quella del direttore del giornale Le Point, Deyda Hydara, ucciso nel 1994, è ancora oggi una figura simbolo della lotta per la libertà di stampa nel paese.

IL GAMBIA ha, neanche a dirlo, anche un’economia disastrata, ma le ragioni per cambiare aria come è facilmente intuibile possono essere di altra natura. E negli anni a fuggire sono sono soprattutto i giovani, variamente oppressi dal paternalismo violento e dispotico di un presidente come Jammeh. A dispetto delle sue ridotte dimensioni anche demografiche, con appena un paio di milioni di abitanti, negli ultimi anni il paese ha alimentato in modo significativo i flussi migratori che prendono la via del Mediterraneo. Impressiona quel 7% di gambiani identificati tra gli oltre 170 mila migranti sbarcati sulle coste italiane quest’anno, se rapportati ai migranti di altre e ben più popolose nazionalità. Per questo l’Italia insiste con Bruxelles per inserire il Gambia nella lista dei paesi in cui installare i centri europei per il controllo dei flussi migratori all’origine.

EX COLONIA BRITANNICA, indipendente dal 1965, il Gambia viene definito come minuscola énclave anglofona nel cuore dell’Africa occidentale francofona. In termini un po’ più africani, un pezzetto piccolo ma significativo della federazione culturale mandinga. Si affaccia per un breve tratto sull’Atlantico ed è completamente accerchiato dal Senegal, un paese grande venti volte tanto. Per dire, i senegalesi approdati in Italia nello stesso periodo si sono fermati al 6% del totale.

 

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È un sistema elettorale unico al mondo, quello con cui si è votato giovedì. Gli elettori dopo essere stati identificati con i dati biometrici  devono depositare una biglia all’interno di bidoni di metallo di diversi colori, corrispondenti ai singoli  candidati. Adama Barrow (bidone grigio) ha ottenuto il 45.5%, mentre Jammeh (bidone verde) si è fermato al 36.7%. Terzo classificato Mamma Kandeh (bidone viola), 17,8%.

C’è da giurare che qualcuno in Europa ci stia sperando, che il cambio di regime si riveli più efficace di qualsiasi muro.

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