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Doom non è un videogioco per vecchi

Doom non è un videogioco per vecchi

Eternal Una diabolica coreografia videoludica a base di adrenalina

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 25 aprile 2020

Si può prendere a prestito il titolo del romanzo di Cormac McCarthy e poi del pluripremiato film dei fratelli Coen per un sintetico quanto efficace giudizio sul nuovo DOOM Eternal, videogioco di id Software prodotto da Bethesda. Probabilmente DOOM non è mai stato un videogioco per «vecchi». Chi ebbe modo di giocare al primo episodio nel 1993 lo può (a maggior ragione oggi) testimoniare. All’epoca il mondo videoludico era suddiviso in categorie molto più definite di oggi: da una parte c’erano i giochi per PC e soprattutto il mondo ruolistico e delle avventure grafiche con trame elaborate e con un respiro ampio e dall’altra le sale giochi coi loro «arcade» (riportati anche in versione casalinga sulle consolle) con gameplay studiato per far arrivare il più velocemente (e soddisfacentemente) possibile al «game over» e all’inserire un’altra moneta per poter continuare.

DOOM è stato l’apoteosi «geek»: il gioco che potevi scaricare in versione shareware dalle BBS per collegarti alle quali spendevi follie in bollette telefoniche, che potevi – salassando ulteriormente le tue tasche – giocare contro altri remoti esseri umani, che potevi modificare a piacimento creando livelli ed intere nuove sezioni. Ma era anche il gioco in cui, con un consistente bouquet di armi, potevi girovagare per una base spaziale sterminando a piacere demoni e mostri sempre più repellenti e letali. Quindi ebbene sì: neanche allora DOOM era un gioco per vecchi, al limite quello di allora lo è ora, per gli appassionati di «retrogaming» (per loro oggi Bethesda mette a disposizione la chicca DOOM 64, conversione per le consolle odierne della versione di DOOM creata appositamente nel 1997 per il Nintendo 64).

Forse l’unico «passo falso» compiuto in quest’ottica da id è stato DOOM3, uscito nel 2004, nel quale veniva abbandonato il mantra cormackiano sull’inessenzialità della storia in uno sparatutto (come in un film porno, sosteneva, la storia ci deve essere ma non interessa a nessuno) ma già nel reboot targato Bethesda del 2016 si correva ai ripari tornando a privilegiare scontri furiosi ed allegramente splatter alla storia. Tendenza confermata ancor di più nel nuovo DOOM Eternal: l’azione videoludica qui non prevede momenti di riflessione, sezioni stealth in cui avanzare silenziosamente tra i nemici, ma il tutto è una diabolica coreografia a base di adrenalina e riflessi.

Come nell’episodio precedente siamo gettati in una serie di arene in cui dobbiamo far fronte ad ondate di demoni sempre più numerosi e letali. Rispetto al reboot del 2016 abbiamo delle ambientazioni molto più curate e varie e soprattutto che si ampliano procedendo coi combattimenti. Infatti sgominando un’ondata demoniaca si sbloccano aree e portali che richiamano altri demoni per arrivare ad arene assai ampie e complesse in cui lo Slayer (noi) si può muovere sfruttando rampe e portali ma anche tramite il doppio salto e il doppio scatto che permettono una mobilità eccezionale.

Le risorse a disposizione sul terreno non sono mai particolarmente abbondanti cosicché il giocatore è costretto a compiere uccisioni epiche (sui nemici storditi) per recuperare vita, uccisioni con la motosega per i rifornimenti delle armi e uccisioni col lanciafiamme per lo scudo. Ma anche a prescindere dal necessario recupero delle risorse, il combattimento non concede mai alcuna tregua e la disposizione ad arena consente ai nemici di venirci addosso da ogni direzione costringendoci a sfruttare al massimo il potere devastante delle armi (che avremo a disposizione in gran parte fin dalle prime fasi di gioco e che potremo personalizzare), la struttura del terreno con i portali di teletrasporto inaccessibili ai demoni e la nostra mobilità. Davvero una sessione di gioco a DOOM Eternal assomiglia ad una forsennata danza infernale: il ballerino non può fermarsi a valutare la situazione ma deve imparare a proseguire il movimento, a volte conscio del terreno, a volte improvvisando temerariamente (e spesso mortalmente). Per la gioia dei temerari giocatori sono state introdotte nuove classi demoniache oltre, ovviamente, ai nuovi boss. In alcuni livelli per il giocatore sarà anche possibile controllare i demoni, come antipasto alla modalità multiplayer.

La trama riprende quella del reboot dopo un paio d’anni in cui l’invasione demoniaca si è spostata da Marte alla Terra e lo Slayer (noi) deve superare i demoni per poter uccidere i tre sacerdoti che garantiscono la presenza demoniaca. Per farlo dovrà recuperare il Crogiolo, manufatto rubatogli dal traditore Samuel Hayden.

Infine la modalità multiplayer: Battle-Mode. La modalità attualmente di moda è quella del «Battle Royale», implementata da free-to-play come Fortnite ed Apex Legends, a tal punto che anche altri giochi ben più blasonati come Call of Duty l’hanno adottata. Id Software per DOOM Eternal ha invece pensato ad una modalità nuova ed originale: si tratta di uno scontro in 5 round tra un giocatore che impersona lo Slayer e due giocatori in team che controllano uno a scelta tra 5 demoni. Si tratta di uno scontro asimmetrico in cui lo Slayer ha dalla sua la mobilità e la potenza di fuoco (la maggior parte delle armi disponibili fin dall’inizio) mentre il team dei due demoni ha la superiorità numerica (moltiplicabile grazie alla possibilità di «spawnare» demoni minori a proprio supporto), la possibilità di bloccare temporaneamente la capacità dello Slayer di rifornirsi con le risorse dei demoni uccisi e, una volta morti, la possibilità di «resuscitare» nell’arena se dopo 20 secondi anche il secondo demone controllato da giocatore non è stato ucciso. Alla fine di ogni round sia lo Slayer che i demoni possono applicare avanzamenti. Per il Battle-Mode sono state appositamente create 6 mappe.

L’unica nota negativa è l’assenza in DOOM Eternal dell’editor che consentiva di creare livelli personalizzati e di condividerli in rete. Per il resto è senza ombra di dubbio lo stato dell’arte per gli sparatutto non realistici ed anzi una sfida all’industria videoludica che spesso lascia in questa nicchia troppo spazio libero ad affollatissimi quanto monotoni free-to-play.

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