Donne e tori: maschi minacciati in scena
Macerata Opera Festival Da «Don Giovanni» a «Carmen», diretta da Donato Renzetti, una minaccia per l’ordine e la stabilità della società borghese patriarcale
Macerata Opera Festival Da «Don Giovanni» a «Carmen», diretta da Donato Renzetti, una minaccia per l’ordine e la stabilità della società borghese patriarcale
Le tessere di un domino ad altezza uomo disposte sulla metà dei quasi 90 metri del palco dell’Arena Sferisterio fanno da sfondo al balletto Don Juan, con la drammaturgia di Gregor Acuña-Pohl, la coreografia di Johan Inger, le musiche originali di Marc Álvarez, eseguite per la prima dal vivo con la direzione di Manuel Coves lo scorso 27 luglio. Una produzione di Aterballetto, che vede 16 danzatori impegnati nel dare corpo a una struggente rivisitazione del mito di Don Giovanni, che Inger e Acuña-Pohl hanno ricomposto come un puzzle usando frammenti dei testi di Tirso de Molina, Molière, Brecht e Suzanne Lilar. Due sono le chiavi della riscrittura dell’identità di genere maschile di cui il «dissoluto punito» è antonomasia: la dimensione metafisica del Commendatore che torna dall’aldilà viene rimpiazzata dalla dimensione psicoanalitica della Madre (una struggente Federica Lamonaca) che torna da un altrove imprecisato a chiedere conto a Don Giovanni della sua condotta con le donne; la dimensione cameratesca del rapporto Don Giovanni-Leporello viene sostituita dalla dimensione gemellare/narcisistica del rapporto Don Giovanni-Leo, interpretati con grande intensità da Juan Hélias Tur-Dorvault e Matteo Fiorani come facce di un giano bifronte (immorale/morale, irruento/delicato ecc).
Ne esce l’immagine di un maschile presuntuoso e allo stesso tempo fragile, chiuso nella casa di specchi del proprio Io, che vive il femminile, anche quello statuario di Donna Anna (una bravissima Ivana Mastroviti), unicamente come un riflesso del bisogno di conferma di sé (ritratto lucido e doloroso del maschio nell’era dei social).
TUTTE AL FEMMINILE invece le tre opere in cartellone al Macerata Opera Festival, La traviata (l’allestimento trentennale di Svoboda/Brockhaus), Lucia di Lammermmor (debutta il 12 agosto) e Carmen, diretta con finezza di mestiere da Donato Renzetti, che della musica «crudele, raffinata, fatalista» di Bizet (parola di Nietzsche) predilige i colori al ritmo, e allestita da Daniele Menghini (regia) e Davide Carnevali (drammaturgia), che a modo loro riscrivono il mito della zingara passionale e selvaggia confezionato da Merimée. Una femme fatale che per la libertà con cui vive è destinata alla morte, come il toro quando inizia la corrida (la «giostra dei tori» veniva praticata anche allo Sferisterio), perché la sua stessa esistenza minaccia l’ordine e la stabilità della società borghese patriarcale, in quanto girovaga, di sangue misto, irruenta, avvezza a vivere sesso e amore con sincera autodeterminazione. Perciò Carmen in questa società non può che diventare Carnem, carne da macello, come quella del toro già morto e pronto alla macellazione che vediamo a inizio spettacolo e che torna fino alla fine, vero e proprio doppio della protagonista. Come doppio di Carmen «strega» e «demonio» (così la chiama Don José, poiché non può controllarla, condizionarla, legarla per sempre a sé) è la maschera di Arlecchino, nell’iconografia più antica che lo rappresentava come un diavolo con un corno sulla fronte, che letteralmente contamina/infesta tutto l’allestimento (ogni personaggio finisce per indossarne il costume), emblema di una diversità che inquieta e destabilizza. In scena fino al 6 agosto.
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