«Donne a voce alta contro la violenza»
Intervista Ana Cofiño, antropologa e femminista, fondatrice del mensile La Cuerda: in Guatemala ogni mese 100 femminicidi, ma lo stato non mette in campo nessuna politica di prevenzione. Occorre una denuncia a livello internazionale
Intervista Ana Cofiño, antropologa e femminista, fondatrice del mensile La Cuerda: in Guatemala ogni mese 100 femminicidi, ma lo stato non mette in campo nessuna politica di prevenzione. Occorre una denuncia a livello internazionale
«Il femminicidio, compiuto spesso dopo stupri e tortura è all’ordine del giorno in Guatemala». Così dice al manifesto Ana Cofiño, antropologa e femminista di lunga esperienza, fondatrice del mensile La Cuerda. L’abbiamo incontrata in Brasile, ospite dell’incontro Continentale dei media, che si è svolto alla Scuola Florestan Fernandes, autogestita dal Movimento senza terra. Il pensiero di genere e la mobilitazione contro la violenza sulle donne hanno attraversato le riflessioni e l’agenda dell’incontro, che ha avuto prevalentemente un volto femminile e mostrato il grande livello di consapevolezza raggiunto nel continente latinoamericano.
Qual è la funzione de La Cuerda nel difficile panorama guatemalteco?
La nostra rivista compie 18 anni a marzo. L’8 marzo del 1998, dopo la firma degli accordi di pace abbiamo cominciato a pubblicare, e tiriamo 20.000 copie ogni mese. Non abbiamo vita facile in una società patriarcale e capitalista com’è quella guatemalteca, attraversata da un livello scandaloso di razzismo prima di tutto nei confronti della donna indigena. Nella nostra attività in difesa dei beni naturali e dei territori, abbiamo sviluppato il concetto di territorio-corpo. Il territorio non è solo la terra o il paesaggio, ma anche la memoria dell’umanità, le conoscenze ancestrali. Il corpo della donna è il primo territorio in disputa, generatore di grande ricchezza per il patriarcato, dal lavoro alla riproduzione. Un concetto che ha facilitato la relazione con i movimenti contadini e indigeni, tradizionalmente più maschilisti, ma con i quali abbiamo sviluppato rapporti di solidarietà. Il nostro femminismo intende modificare la società tutta e in una prospettiva de-coloniale. Una volta al mese, sulla rivista – che distribuiamo gratuitamente grazie a un finanziamento della cooperazione con i Paesi baschi -, scrivono anche uomini. Il nostro obiettivo è cambiare i paradigmi senza seguire la logica capitalista e patriarcale. Vogliamo un futuro basato su reti di sostenibilità della vita, in cui non ci sia più la separazione fra chi produce e chi riproduce. Il tema della sessualità è uno degli assi centrali de La Cuerda e uno dei più grandi tabù della società guatemalteca. Nel paese non si fanno ricerche, se non dal punto di vista della salute o dei diritti riproduttivi, non si fa prevenzione. Quest’anno abbiamo cominciato un’inchiesta sulla sessualità delle donne nel movimento femminista e teniamo seminari nelle scuole.
Qual è la situazione della donna in una società con altissimi indici di povertà e disuguaglianza?
Oltre il 50% delle donne indigene è analfabeta. Il governo precedente ha demolito quel poco che era stato fatto da Alvaro Colom, e quello appena eletto, razzista e conservatore, non farà meglio. L’aborto è criminalizzato, la chiesa decide su questo tema, e in molte hanno paura anche a pronunciare la parola. Intanto migliaia di donne muoiono per procurato aborto clandestino. Occorre denunciare a livello internazionale che lo stato non mette in campo politiche di prevenzione per le gravidanze precoci, né per prevenire la violenza sulle donne. Abbiamo il tasso di maternità infantile fra i più alti del continente. Bambine che vengono violentate in famiglia, a scuola, in chiesa nella più completa impunità.
Di recente è passata la legge che innalza da 14 a 18 anni l’età del matrimonio per le ragazze.
La legge è arrivata per la pressione popolare e dopo mesi di immobilità del Congresso. E comunque, in una società così malata e permeata dalla violenza è solo un palliativo. A un centro contro la tratta con cui lavoriamo ho incontrato una tredicenne che ha avuto una bambina. Era stata violentata dall’uomo che stava con la madre, che aveva abusato anche della piccola. I bambini crescono in un clima di sopraffazione, dove la violenza sessuale sulle più piccole non è prevenuta né sanzionata. Non esistono leggi che regolino adeguatamente le adozioni. I bambini vengono rubati alle madri per strada, negli istituti. Un grosso scandalo ha fatto emergere una catena di complicità ai più alti livelli, che passava attraverso l’ambasciata Usa. Con 10.000 dollari, una donna gringa poteva venire a comprare un bambino come si compra un cagnolino. Il Guatemala è uno snodo della tratta delle donne verso gli Stati uniti. Il femminicidio è una minaccia che pesa quotidianamente. L’anno scorso ne sono morte 1300. Quest’anno si è parlato di 100 omicidi ogni mese. I cadaveri recano tracce di multiple violenze, torture, squartamenti. La tratta è legata al narcotraffico, al traffico di armi in cui sono coinvolti i vertici politici. Per il 25 novembre abbiamo intensificato la campagna per rendere visibile tutto questo e per dire alle donne che devono uscire dal ruolo di vittime ed essere attive.
Ogni sabato e per mesi, gli indignados hanno animato le piazze contro la corruzione. Quale ruolo ha avuto La Cuerda?
Siamo state fra le promotrice delle autoconvocazioni. Ogni sabato siamo andate alla marcia delle torce. Una cosa emozionante, fuori dagli schemi tradizionali della politica e con una voce molto più forte di quella che sale da una sinistra dispersa. Una manifestazione dai tanti volti, spesso giovanissimi: movimenti contadini, settori progressisti, femministe, chiesa di base. C’erano ragazze che stavano per la prima volta in piazza, perché i genitori glielo avevano sempre proibito per paura che fossero ammazzate. In Guatemala vengono uccisi attivisti e giornalisti, spesso si trovano i tribunali giusti per accusarli di delitti inesistenti. Per aver denunciato la corruzione, il direttore de El Periodico, pur non essendo di sinistra, ha subito pressioni e minacce. Quelle ragazze avevano le lacrime agli occhi assaporando l’emozione collettiva, hanno scoperto un mondo. Durante i sabati del sorriso, andavamo ad abbracciare i poliziotti che erano lì ad arrostire sotto il sole. Portavamo loro dell’acqua e loro finivano per reggerci gli striscioni. La consegna era quella di non cadere nelle provocazioni.
Ma alla fine è stato eletto alla grande il comico conservatore Jimmy Morales.
Per capire il Guatemala non si possono tagliare le cose con l’accetta. C’è una forte opposizione spontanea all’estrattivismo. I movimenti si mobilitano in difesa del territorio pur senza avere idee di sinistra e apprendono cammin facendo. Ho partecipato a varie di queste mobilitazioni. La gente viene sgomberata ma poi torna e ricomincia. Le donne coi bimbi in braccio fermano i camion, si stendono a terra cantando inni religiosi. C’è un programma radio molto seguito in cui il pubblico può fare domande. Gli stessi elettori di Morales gli dicono: attento, che se sgarri e cominci a rubare, ti cacciamo. Abbiamo cominciato a liberarci dalla paura. Un piccolo segnale è arrivato con l’elezione di Sandra Moron, femminista e lesbica, votata dai movimenti sociali. Speriamo che porti scompiglio in quel luogo di dinosauri.
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