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Donald Sassoon: «A Londra la più grave crisi costituzionale e politica dal 1945»

Donald Sassoon: «A Londra la più grave  crisi costituzionale e politica dal 1945»Boris Johnson – Afp

Intervista Il professore Donald Sassoon: «Siamo in una di quelle situazioni descritte da Gramsci: in altre parole, se ne ignora la via d’uscita»

Pubblicato circa 5 anni faEdizione del 29 settembre 2019

Donald Sassoon è professore emerito di storia europea comparata al Queen Mary College, University of London. Il suo ultimo libro è Sintomi Morbosi, edito da Garzanti.

Boris Johnson è a testa bassa contro il parlamento e radicalizza lo scontro: ma è una strategia tenibile questa sua?

Non mi ha sorpreso. Non ha scelta, è stato eletto da un paio di mesi, da allora ha collezionato solo sconfitte, ventuno dei suoi parlamentari gli hanno detto di no e lui li ha espulsi e, naturalmente, ha contro tutta l’opposizione a partire dai laburisti. In più è in un governo di minoranza, ha davanti a sé una legge che dice che non si può uscire dall’Ue senza un accordo – presentato almeno entro il 19 ottobre, il cosiddetto Benn Act, ndr – , ed è anche impossibile per lui senza il consenso del partito laburista indire elezioni, che a questo punto è poco probabile si facciano prima del 31 ottobre. Ha anche dichiarato che il Regno unito uscirà lo stesso in quella data – «a qualunque costo», ndr -, il che ovviamente è in totale contraddizione con la legge appena citata. Dice di voler rinegoziare l’accordo, ma non potrà farlo discostandosi troppo da quello proposto da Theresa May al parlamento e, per di più, respinto già tre volte proprio grazie al voto suo e degli euroscettici. Dunque è in una posizione oggettivamente difficile e si sta preparando a qualcosa; ma non si riesce a capire a cosa, perché se si trattasse di elezioni è più probabile che si tengano a novembre anziché prima. L’unica cosa che lo salverebbe è il profondo disaccordo che c’è all’interno dell’opposizione, soprattutto tra liberaldemocratici e nazionalisti scozzesi, per non parlare dei dissensi interni al partito laburista. Volendo dare un’occhiata più generica a quello che sta succedendo in Gran Bretagna, è semplicemente la più grave crisi politica e costituzionale dal 1945. Ed è una crisi esemplare di quelle descritte da Antonio Gramsci: in altre parole, se ne ignora la via d’uscita. Tutti, giornalisti compresi, si chiedono quale sarà la prossima mossa, ma nessuno è in grado di prevederlo.

Qual è la situazione all’interno del partito laburista? Ne vengono costantemente stigmatizzate le divisioni…

Nel Labour sono tutti d’accordo su una cosa: non uscire il 31 ottobre senza accordo. Immaginiamo ci sia una proroga della scadenza fissata dal Benn Act che obbliga il premier a richiedere la posticipazione dell’uscita al 21 gennaio. Ci sono due posizioni. Secondo la prima, si cercherebbe di indire un referendum prima di allora in cui il partito farebbe campagna chiaramente su una posizione pro remain – mettendo di fronte l’elettorato a una scelta fra Brexit o remain, anche se un Brexit con un accordo imprecisato. Poi c’è quella di Corbyn: prima si fanno le elezioni, poi si fa un accordo con l’Ue che sarà abbastanza vicino a quello noto come Norvegia Plus, ovvero permanenza nel mercato unico e libera circolazione di uomini e merci. Se si facesse quest’accordo si terrebbe comunque un referendum dove la scelta sarebbe fra l’accordo fatto e il remain. Questa è la posizione di Corbyn, che a me francamente pare la più logica, giacché i voti per indire un secondo referendum non ci sono comunque.

I giornali e i media liberali di oggi brulicano di commenti indignati su quanto è successo alcuni giorni fa in aula, soprattutto per il linguaggio di Johnson, che pare uscito da un volantino revanscista di inizio ’900. Come ha reagito lei?

Sono indignato, nel senso che ormai non ci sono limiti alle urla, alla retorica, alle offese. Chiaramente sono tutti sotto un grandissimo stress e dire, come ha detto l’Attorney General Geoffrey Cox – massima autorità giuridica del governo che ha consigliato Johnson, «in buona fede», dice lui, a chiedere alla regina di «prorogare» il parlamento, ndr -, che il parlamento è «morto» e che si è comportato in maniera sciagurata, significa che ormai siamo ai limiti degli insulti. Sono cose, queste, che di solito a questi livelli non accadono alla Camera dei Comuni, è indice di quanto difficile sia la situazione e del fatto che un po’ tutti, soprattutto i conservatori, hanno i nervi a fior di pelle.

L’argomento principale degli euroscettici è che la corte suprema si sia lasciata coinvolgere in un verdetto eminentemente politico.

La corte costituzionale non aveva molte scelte, a me ha sorpreso che tutti i giudici abbiano votato all’unanimità; pensavo che ci sarebbe stata una minoranza di almeno due o tre. Ma pensiamo a cosa succederebbe se il primo ministro si arrogasse il diritto di sospendere il parlamento eccezionalmente per cinque settimane a fini politici. Immaginiamo che accadesse un attentato terroristico tipo l’11 settembre, o una situazione qualsiasi di emergenza e che lui decida di sospendere il parlamento non per cinque settimane, ma per cinque mesi, un anno, due anni? È evidentemente impossibile dare carta bianca al primo ministro di sospendere il parlamento quando e come vuole. In questo caso, chiaramente, la sospensione era motivata da ragioni politiche e non tecniche, come nel caso dei periodi di vacanza o quando si tengono i congressi dei partiti – prassi normale per la prorogation, ndr -, ebbene, lì l’intenzione politica era assolutamente ovvia e dunque la corte suprema non aveva altra scelta che impedirlo.

Perdoni la domanda di prammatica sul futuro a lei, che si occupa di passato: cosa pensa succederà adesso?

È difficilissimo, perché è una situazione in cui i sondaggi non possono darci il quadro che andrebbe a configurarsi se si arrivasse al trentuno ottobre senza accordo, ma con una proroga. Ricordiamoci di quanto sbagliarono i sondaggi nel 2017, quando la signora May decise di indire le elezioni proprio sulla base dei sondaggi, che la davano stravincente. È inutile cercare di fare previsioni su una situazione del genere. Se ci sono elezioni – è più facile dire quando – è chiaro che se vincesse Johnson, e per vincere intendo che abbia una maggioranza assoluta dei seggi come di solito avviene al partito che vince in questo Paese, non direbbe nulla circa la costituzionalità di quello che aveva fatto prima; vorrebbe dire solo che una percentuale abbastanza alta di elettori ha confermato il verdetto dato non nel 2017 a Theresa May, ma addirittura nelle elezioni del 2015 (quelle vinte da David Cameron con una maggioranza assoluta, ndr). Posso dire che mi pare assai poco probabile che Johnson otterrà la maggioranza assoluta. Come mi sembra altrettanto poco probabile che la possa ottenere il Labour. Non dimentichiamoci che il partito conservatore sarà distrutto in Scozia e che il Snp avrà tutti i seggi, una cinquantina circa: questo renderebbe difficilissima se non irraggiungibile la maggioranza al Labour. Potrebbero a questo punto darsi degli accordi fra Snp, Libdem e Labour? Non lo sappiamo, è un’incognita. La probabilità forte è che le elezioni portino a un hung parliament, un parlamento senza maggioranza.

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