Visioni

Don Pasquale nelle malizie vitellonesche di Cinecittà

Don Pasquale nelle malizie vitellonesche di CinecittàImmagine da «Don Pasquale» – foto di Brescia e Amisano/La Scala

A teatro Arriva alla Scala il «dramma buffo» di Donizetti nell’allestimento cinefilo ideato da Davide Livermore

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 1 giugno 2024

In questi giorni al Teatro alla Scala è in scena Don Pasquale nell’allestimento cinefilo ideato nel 2018 da Davide Livermore con i suoi fedeli collaboratori: Giò Forma (insieme al regista) per le scenografie, Gianluca Falaschi per i costumi, Nicholas Bovay per le luci, D-wok per i video. Il «dramma buffo» di Gaetano Donizetti, come tutti i capolavori, annota il regista, è indefinibile: più di una commedia, più di un dramma, una pièce di costume che mescola i tratti della commedia e del dramma imitando i toni agrodolci della vita. Il testo viene genialmente riletto attraverso la lente del grande cinema italiano che va da Bellissima di Visconti a La grande bellezza di Sorrentino passando per Roma di Fellini e per la commedia all’italiana di Mastrocinque e Monicelli. Così la Roma che Donizetti mise in scena per i francesi (la prima dell’opera fu al Théâtre-Italien di Parigi nel 1843) si popola delle miserie, delle nobiltà, delle frivolezze dolcevitaiole, delle malizie vitellonesche del cinema di Cinecittà.

Una rilettura e una regia millimetrica, costumi a cura di Gianluca Falaschi

LETTERALMENTE: davanti agli studios entra in scena Norina, tra una decappottabile alla Sorpasso di Risi e una vespa alla Vacanze romane di Wyler, il suo negozio da modista ricorda quello di Donne di Cukor, il boschetto finale è un angolo dei colli romani con ruderi antichi e industriali. La rilettura è milletrica, la regia irresistibile: tutto si tiene. Così le aspirazioni di Don Pasquale, «vecchio celibatario» a causa di una mamma dispotica e invadente anche da morta (che in scena ricorda Tina Pica), i maneggi di Malatesta, l’ingenuità di Ernesto, l’impazienza capricciosa di Norina, che nel libretto di Giovanni Ruffini rievocano i tipi antichi della Commedia dell’arte (Pantalone, Scapino, Pierrot, Colombina), vengono filtrati attraverso i tipi contemporanei della commedia all’italiana, che richiamano i volti di Totò, Fabrizi, Sordi, Chiari, Magnani, Lollobrigida, Vitti. Evelino Pidò dirige l’orchestra con brio, staccando tempi veloci, evidenziando le linee dei fiati, che danno carattere alla partitura (si pensi all’ineguagliato assolo di tromba all’inizio del secondo atto), modulando volumi ora robusti ora leggeri, tra ironia spinta e languore malinconico. Il cast incarna perfettamente l’idea del regista e del direttore. Oggi come nel 2018 Ambrogio Maestri disegna un Don Pasquale naif, volubile, poi disilluso e infine adirato, con voce sonora e allo stesso tempo tenera.

ANDREA CARROL crea una Norina astuta, vezzosa e ambiziosa grazie a una presenza scenica sempre credibile e a una voce corposa nel registro centrale, dalle colorature naturali, dalle scale ascendenti e discendenti sicure, dall’emissione morbida che si schiaccia solo un po’ in acuto. Lawrence Brownlee è un Ernesto delicato, acutissimo, a tratti flebile, ma con mezze voci, piani e pianissimi seducenti. Il Malatesta di Mattia Olivieri è il regista baldanzoso e giocoso della pièce, con emissione e agilità trascinanti. Sgangherato il Notaro di Andrea Porta. Repliche fino al4 giugno.

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