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Don Ciotti: «Contro le mafie è ora di risalire sui tetti»

Don Ciotti: «Contro le mafie è ora di risalire sui tetti»Papa Francesco con don Luigi Ciotti

Il fondatore di Libera Il 21 giornata della Memoria e dell’impegno

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 16 marzo 2014

E’ la prima volta che un papa partecipa alla giornata della memoria per le vittime della mafia. Come nasce questo evento?

 

Da un incontro con lui in cui abbiamo riflettuto insieme. Non ha esitato ad accettare di essere presente a questo momento di riflessione, di silenzio e anche di preghiera. Per noi è un grande dono e un segno di grande, grande valore.

Lei ha detto che da parte di papa Francesco c’è stato subito grande disponibilità.

 

E’ una persona molto attenta, che sa ascoltare e capace di sentire gli altri dentro di sé. L’ha dimostrato a Lampedusa, ma anche andando nelle carceri minorili di Roma e accogliendo il popolo della strada. Sono segni molto importanti. Tonino Bello direbbe: il potere dei segni contro i segni del potere.

In questi giorni ricorre anche l’anniversario della morte di don Diana, assassinato dalla camorra a Casal di Principe il 19 marzo del 1994. Venti anni esatti.

 

Il grande don Peppino Diana. Non dimenticherò mai il documento ’Per amor del mio popolo’ che nel 1991, con i parroci della forania, aveva scritto proprio per dire basta alla presenza della camorra, per invitare i camorristi a smetterla con la violenza. Ma anche per invitare la gente a una rivoluzione delle coscienze. Quando ha chiese ai suoi parrocchiani a salire sui tetti per enunciare parole di vita. Dovremmo farlo un po’ tutti anche oggi, salire sui tetti delle nostre case, sui tetti della nostra vita per essere persone che si assumono la responsabilità del cambiamento.

Un altro sacerdote vittima della criminalità è don Pugliesi, beatificato da papa Francesco.

E’ stato un modello di santità cristiana, con il suo impegno sacerdotale, la sua voglia di togliere i ragazzi dalle strada, il suo coraggio sociale. Lui era un prete, un prete che la mafia voleva cacciare in sagrestia, perché le mafie vorrebbero che non ci occupassimo di loro. Attenzione: don Puglisi viene ucciso per odio alla sua fede. Viene ucciso da un’altra chiesa, da un’altra religione, la religione della violenza, che non tollera la vista del testimone dell’amore di Cristo. La religione che ha messo il padrino al posto del padre. La mafia non ha nulla di cristiano. E’ significativo quello che il 19 agosto 1993, venti giorni prima dell’omicidio di don Puglisi, in America il collaboratore Francesco Marino Mannoia dice all’Fbi. Queste le testuali parole: ’Nel passato la chiesa era considerata sacra e intoccabile. Ora invece Cosa nostra sta attaccando anche la Chiesa perché si sta esprimendo contro la mafia’. Gli uomini d’onore mandano messaggi chiari ai sacerdoti: non interferite. E invece la Chiesa deve interferire, deve farlo dove viene calpestata la dignità, la libertà delle persone. Ma perché Mannoia manda questo segnale? Perché il 9 maggio del 1993 nella valle dei Templi Giovanni Paolo II aveva alzato improvvisamente la voce per dire con forza che la mafia è incompatibile con il Vangelo. Era un grido per scuotere, per invitare i siciliani a non scoraggiarsi e a reagire. Ma era anche una condanna chiara al gioco criminale mafioso.

Lei ha citato le parole di Giovanni Paolo II. Dopo di lui, nel 2010, Benedetto XVI a Palermo fece un altro forte appello.

Sottolineò con forza «la mafia strada di morte».

Nonostante questi appelli non si può però non ricordare come spesso la Chiesa abbia guardato da un’altra parte.

Dobbiamo interrogarci sui silenzi e le reticenze del passato.Aveva ragione padre Bartolomeo Sorge quando, lasciando Palermo dopo molti anni, lui arrivò dopo le stragi, fece una dichiarazione che fa riflettere e che io condivido, perché molte prudenze, ritardi, sottovalutazioni e complicità sono presenti ancora oggi. Sorge disse: ’Mi sono sempre chiesto perché questo sia potuto accadere, il silenzio della chiesa sulla mafia. Non si potrà mai capire come mai i promulgatori del Vangelo, delle beatitudini, non si siano accorti che la cultura mafiosa ne era la negazione’. Il silenzio se ha spiegazioni, non ha giustificazioni.

Come valuta la nomina del pm Raffaele Cantone all’Autorità anticorruzione?

Cantone è una persona brava, generosa e soprattutto competente. Quindi benvenga. Ma una nomina non basta, il problema è più vasto. Le mafie hanno ripreso alla grande e con nuove modalità, hanno nuove strategie, usano nuove tecnologie. Sono tornate a essere forti e in un momento di grande crisi economica e finanziaria loro hanno liquidità e investono. Lo Stato, gli apparati istituzionali hanno fatto delle cose importanti in questo anni, ma non sono sufficienti. Bisogna mettere in grado magistratura e polizia di agire meglio, con più strumenti, uomini e mezzi. Forse servono meno leggi e più legge. Bisogna rivedere i reati che nell’82 vennero definiti di mafia, perché nel frattempo le cose sono cambiate. Allora non si parlava di ecomafie o di traffico di stupefacenti con la forza con cui ne parliamo oggi, non si parlava della tratta di esseri umani, né del gioco d’azzardo. Quindi serve una lettura molto più ampia rispetto ai reati e agli interventi che devono essere portati avanti.

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