Visioni

«Don Chisciotte Ad ardere» e lo spirito del tempo

«Don Chisciotte Ad ardere» e lo spirito del tempo"Don Chisciotte Ad ardere" – foto di Marco Caselli

A teatro In scena nel cartellone del Ravenna Festival l'adattamento dell'opera di Cervantes firmata da Ermanna Montanari e Marco Martinelli

Pubblicato più di un anno faEdizione del 8 luglio 2023

Quando il teatro è felicità. Perché non sempre il teatro è felicità: può costare allo spettatore più di una serata persa. E invece che piacere lasciarsi guidare a piccoli gruppi nell’ascesa lungo il labirinto dei sogni che Ermanna Montanari e Marco Martinelli hanno disegnato all’interno di Palazzo Malagola, come uno specchio da attraversare per entrare nel loro Don Chisciotte Ad ardere nel cartellone di Ravenna Festival. Si attraversano stanze che sono campi di grano o un accampamento di soldati feriti, laboratorio alchimistico o biblioteca abbandonata; dove una famiglia sta seduta a tavola davanti a delle galline in gabbia o due bambine costruiscono un castello di sabbia. Ma tutte le stanze risuonano di rumori, di suoni, di dolci arie che danno gioia e non malinconia. Viene in mente la Tempesta, quella di Shakespeare, non per nulla il settecentesco palazzo da un po’ di mesi è diventato un Centro di ricerca vocale e sonora di respiro internazionale.

ALL’USCITA si torna a riveder le stelle nel cortile attrezzato con una gradinata e un basso palchettino. Locanda, dice la scritta sulla serranda di una finestra. Qui però occorre tornare da capo, all’inizio di questo nuovo «cantiere» dei due artefici che nella fabula hanno assunto i nomi di Hermanita e Marcus, due poveri maghi sperduti, lei che imbroglia i fili, lui che li insegue, figure complementari nell’imbastire i sogni che vengono cuciti nell’androne del palazzo, mentre la bella voce di Serena Abrami intona un canto sefardita e Stefano Ricci che già aveva lasciato sui muri e soffitti il suo segno disegna su una grande lavagna un proprio sogno.
Si attraversano stanze che sono campi di grano o un accampamento di soldati feriti, laboratorio alchimistico o biblioteca abbandonata; dove una famiglia sta seduta a tavola davanti a delle galline in gabbia o due bambine costruiscono un castello di sabbia.

Sul palchetto della locanda ritroviamo Roberto Magnani, Alessandro Argnani e Laura Redaelli che sono l’ingegnoso hidalgo e accanto a lui il buon Sancio Panza e la Dulcinea del Toboso. Cioè non proprio loro ma attori che interpretano una parte. E poi c’è Luca Fagioli detto Fagio che sembra Orson Welles che fuma il sigaro. E soprattutto le cittadine e i cittadini che hanno risposto alla «chiamata pubblica» per questa nuova avventura pluriennale, dopo l’immersione degli anni passati nella Commedia dantesca. E ora formano uno sterminato coro da teatro di massa che a ondate dilaga sulla scena ballando e cantando misteriose glossolalie.
Donchisciottesco. Il romanzo di Cervantes ha dato origine al suo bravo aggettivo, per dire di atteggiamenti generosi quanto inutili. Eccolo infatti, il cavaliere dalla trista figura, che sfida il buon senso dei tanti e finisce per essere buttato nell’immondizia – e Sancio ogni volta: lasciate perdere, qui va a finir male.

MA È POI davvero così ridicola questa sognante resistenza allo spirito del tempo? Metti il famoso discorso contro la polvere da sparo, mai ce n’è stato così bisogno come oggi, dice Dulcinea. Oggi che là fuori si scannano con i missili e le bombe. E non è mica detto che sia come te la raccontano questa guerra. Allora si capisce che i ragionevoli vogliano dare fuoco ai libri dei cattivi maestri, Calvino che parla di uno svitato che sale su un albero e non vuole più scendere e Dostoevskij perché era russo. Si comincia sempre così, e per questa volta ci si ferma alla carta.

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