Visioni

Dolores O’Riordan, addio alla voce dei Cranberries

Dolores O’Riordan, addio alla voce dei CranberriesDolores O'Riordan – foto La Presse

Musica Morta a 46 anni la cantante del gruppo irlandese; dalle hit dei '90 ai progetti solisti e la reunion con la band

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 16 gennaio 2018

Una morte improvvisa, a 46 anni, per Dolores O’Riordan – la voce dei Cranberries – avvenuta ieri in una stanza d’albergo a Londra dove si trovava per una serie di registrazioni. Ad annunciarlo la sua agente Lindsey Holmes che chiede nella nota stampa di: «Rispettare la privacy dei familiari distrutti dal dolore». Minuta e magrissima, una magnetica presenza sul palco, la front woman della band irlandese nata a Limerick il 6 settembre 1971, è stata l’elemento su cui il gruppo ha misurato le sue forze. Voce dalle tonalità aspre giocata su registri sempre al limite dell’intonazione, era cresciuta – come raccontava nelle interviste: «Ascoltando Enya e i Clannad, ma anche Patsy Cline e Tammy Wynette».

E Sinead O’Connor, aggiungiamo, con la quale condivideva un timbro drammatico quanto affascinante, vero marchio di fabbrica delle hit della band, e un inquieto privato fatto di malattie e depressioni. Cranberries – un nome nato da un gioco di parole con la cranberry sauce, la salsa di mirtilli – è stato agli inizi degli anni ’90 il gruppo che ha saputo raccogliere al meglio l’eredità del rock celtico, l’enfasi rock degli U2 mescolato però alle suggestioni irlandesi. Sfonda prima negli Usa e poi in Gran Bretagna con l’album d’esordio Everybody is Doing it Why Can’t We? (1992), spinto anche dal supporto di Mtv che intuisce il potenziale da rock star di Dolores.

Il successo mondiale – nonché l’apice di creatività – arriva con il successivo No Need to Argue (1994) e la ballata simbolo: Zombie, composta dalla leader durante il tour inglese della band in memoria di due ragazzi, Jonathan Ball e Tim Parry, rimasti uccisi in un attentato dell’IRA a Warrington in Inghilterra il 20 marzo 1993. Una denuncia della situazione di violenza in cui ancora versava l’Irlanda del Nord nel 1993. Ma anche il resto dell’album mantiene standard elevati come nella lunga Daffodil Lament, dall’incedere maestoso su cui si staglia la voce duttile di Dolores. È poi la volta di To the Faithful departed (1996), dove l’ispirazione latita anche se la risposta dei fan non si fa mancare. Ma il successo è difficile da mantenere; milioni di copie vendute, tour ovunque sold out vanno di pari passo con depressione, crisi, liti. In breve a interessarsi di loro più che le riviste specializzate sono i tabloid di gossip, alla ricerca di notizie sull’anoressia di Dolores: «Avevo semplicemente smesso di mangiare, la mia dieta si basava su sigarette e caffé», che anni di dopo rivelerà di aver subito da bambina violenze sessuali. L’uscita di Bury the Hatchett (1999) – «sotterra l’ascia» è una tregua, il rock si stempera in un pop mainstream buono per le stazioni fm.

Inevitabile quattro anni dopo lo stop del quartetto, con Dolores a tentare la strada solista, ma sia in Are You Listening (2007) che in No Baggage (2009) non ci sono produttori in grado di sostenerla adeguatamente. Ne escono due progetti mediocri, destinati a fallire anche nelle classifiche. Poi nel 2009 i Cranberries tornano in pista, un tour seguito da un disco di inediti Roses (2013), prodotto da Stephen Street e lo scorso anno una rilettura orchestrale delle loro più grandi hit, Something Else, ma il tour annunciato viene subito sospeso per i problemi di salute della cantante.

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