Dolomiti nell’arte, giardini magici e passeggiate in quota
Mostra Dall'ottava edizione di Biennale Gherdëina, fino al 25 settembre 2022
Mostra Dall'ottava edizione di Biennale Gherdëina, fino al 25 settembre 2022
Inspiri, espiri… mentre gli eredi in carne ed ossa dei «salvàns» e delle «ganes» – mitiche creature primigenie dall’indole positiva che nelle leggende ladine popolano e custodiscono i segreti delle montagne dolomitiche (il primo a raccoglierle e a pubblicarle fu Karl Felix Wolff nel 1905) – ti conducono sempre più, lungo il «sentiero segreto» che parte da Santa Cristina e, costeggiando i fiori di tarassaco, s’inoltra tra fitti pini, abeti rossi, orme di famiglie di caprioli, cespugli di ginepro, api che danzano sedotte dal manto di erica e primule, fiori di genziana e verbasco appena sbocciati. «Sapevi che gli aghi di larice si mangiano?» – chiede la giovane guida/fata dei boschi con una «naturalezza» studiata – «Sono tenerissimi e hanno il sapore della nocciola». A me ricorda di più quello degli agretti selvatici (barba dei frati) di cui da bambini si succhiava il gambo. «Quando sugli alberi c’è il muschio vuol dire che l’aria è molto pulita».
«Gli alberi comunicano tra loro; il bosco si parla». Stimoli che sollecitano il risveglio di una memoria personale e collettiva (soprattutto su temi ecologici ma non solo), attraverso l’azione del camminare che, per dirla alla William Wordsworth, non è solo un’azione fisica ma un modo di essere. Il terreno, intanto, si fa più soffice e umido nella conca verdissima intorno al piccolo lago di Lagustel a 1.824 metri, punto d’arrivo di Sentiero di Alex Cecchetti, tra le opere (l’artista-coreografo le definisce «incantesimi») della Biennale Gherdëina nonché progetto vincitore dell’Italian Council 2021. È lassù che si trova la yurta realizzata con gli stessi tessuti utilizzati per i kimono indossati dalle guide, ottenuti imprimendo fiori e piante di montagna cotti al vapore. Sdraiarsi sul letto di fieno e guardare il cielo dall’oculo centrale della tenda è parte di un’esperienza che si conclude mangiando la zuppa (la ricetta è segreta) preparata con bacche, petali e arbusti di questi boschi.
La natura «monumentale» del Patrimonio Mondiale Unesco delle Dolomiti a Ortisei e l’imponenza del paesaggio circostante della Gherdëina/Val Gardena sono elementi imprescindibili della sfida accettata dalle curatrici dell’ottava edizione di Biennale Gherdëina (fino al 25 settembre 2022), Lucia Pietroiusti e Filipa Ramos, dando un seguito a quel dialogo fra loro sull’intersezione arte/ecologia, basato su «intuizioni, ossessioni e passioni comuni», iniziato già da qualche anno e che le ha viste collaborare ad altri progetti artistici tra cui il festival The Shape of a Circle in the Mind of a Fish. Questo scambio ha coinvolto la comunità di artisti locali e internazionali in un continuo confronto con la natura circostante, passaggio fondamentale per l’approfondimento delle dinamiche all’interno del paesaggio stesso. Anche il titolo Persones Persons suggerisce le potenzialità di un’arte militante in grado di contribuire al riconoscimento dei diritti della Terra, ma anche per analizzare «memorie antiche e future dei percorsi delle persone, degli animali, delle piante e dei materiali attraverso sistemi di migrazione, spostamento stagionale e transumanza nella regione e nei suoi paesaggi», come spiegano le curatrici all’unisono. Fondata da Doris Ghetta nel 2008 come evento collaterale di Manifesta 7, la Biennale Gherdëina è organizzata da Zënza Sëida VFG con il supporto di Nicoletta Fiorucci Foundation (per l’edizione 2022 vede il coinvolgimento di Museion – Museo d’arte contemporanea di Bolzano con la mostra Welcoming Persones Persons e della Fondazione Antonio Dalle Nogare con Etel Adnan & Simone Fattal – Working Together) ed è dislocata a Ortisei (Sala Trenker, Hotel Ladinia e vie del centro), nel rinascimentale Castel Gardena (già residenza di caccia ora proprietà della famiglia Franchetti) a Selva Gardena e nella cornice mozzafiato di Vallunga e Santa Cristina. Arricchisce la rassegna il programma di talk e workshop, tra cui Somatic exercises di Barbara Gamper, Maddalena Fragnito con il talk Ecologie della cura.
Prospettive transfemministe e il workshop di tessitura dell’artista sàmi Britta Marakatt-Labba, i cui paesaggi ricamati che celebrano il senso di un movimento geopolitico orientato con le costellazioni fanno parte della mostra Il Latte dei sogni alla 59. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia. Il ritmo «naturale» si riflette in tutte le opere dei 24 artisti internazionali: Etel Adnan e Jimmie Durham recentemente scomparsi (a loro è dedicata la manifestazione), Chiara Camoni, Alex Cecchetti, Gabriele Chaile, Revital Cohen e Tuur Van Balen, Simone Fattal, Barbara Gamper, Kyriaki Goni, Judith Hopf, Ignota, Karrabing Film Collective, Britta Marakatt-Labba, Lina Lapelytė, Eduardo Navarro, Angelo Plessas, Elizabeth A. Povinelli, Tabita Rezaire, Sergio Rojas, Giles Round, Thaddäus Salcher, Martina Steckholzer, Hylozoic/Desires (Himali Singh Soin e David Soin Tappeser), Ana Vaz e Nuno da Luz, e, infine, Bruno Walpoth che con la scultura in legno di noce Pinocchio (replica di quella realizzata per il film di Matteo Garrone) riflette sulla crisi climatica affermando che «la Terra è in fiamme e noi stiamo mentendo a noi stessi». Invece, Sergio Rojas Chaves con Promise of a Living Fossil indaga la presenza nelle Dolomiti della Cycas revoluta, una pianta sempreverde considerata «fossile vivente», imprimendo la sua immagine sulle bandiere e distribuendone i semi. Le piante sono l’essenza anche dei lavori del gruppo Ignota (Sarah Shin e Ben Vickers) che considera la propria pratica artistica «un esperimento sulle tecniche di risveglio».
Nell’installazione circolare Memory garden ricreano un giardino «magico» di piante spirituali e curative legato ai cicli lunari, ai simboli ancestrali, all’armonia raggiunta attraverso la rivelazione mediata dal sogno. Temi che tornano nel libricino Seeds (la pubblicazione è parte dell’opera) di cui un capitolo è tratto dal testo Journey to Mount Tamalpais (1986) di Etel Adnan, vera e propria dichiarazione d’amore alla montagna della California in cui la poetessa e artista visiva libanese-statunitense scrive «dipingere paesaggi è creare eventi cosmici». La visione poetica accompagna, in particolare, l’opera The mountain-islands shall mourn us eternally (data garden dolomites) commissionata dalla Biennale all’artista greca Kyriaki Goni che ricorrendo alla tecnologia avanzata della computer grafica 3D (CGI – Common Gateway Interface) ipotizza, in una narrazione fittizia che contiene elementi di verità, il dialogo tra la Saxifraga depressa (pianta autoctona delle Dolomiti che cresce sui pendii e nelle fessure rocciose a oltre 2000 metri) e l’essere umano. La pianta spiega la necessità della sua migrazione in alta quota a causa del riscaldamento globale e dello sfruttamento delle risorse, disquisendo anche sull’esistenza di un «data garden», uno spazio di archiviazione in cui le piante stesse diventano «giardiniere» delle informazioni memorizzate proprio attraverso il loro DNA. Un modo per proiettarsi nel futuro ricodificando con una linfa vitale il rapporto uomo/natura.
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