Dokoupil, Gallo, Scheibl: reticolo Hegyi
A Torino, Galleria Umberto Benappi, "The image-creating Demiurge", a cura di Lóránd Hegyi Fra critico e rabdomantico, il critico e curatore ungherese riunisce i tre artisti, nati nel revival pittorico di fine anni settanta, sotto il segno di un’energia demiurgica e straniante
A Torino, Galleria Umberto Benappi, "The image-creating Demiurge", a cura di Lóránd Hegyi Fra critico e rabdomantico, il critico e curatore ungherese riunisce i tre artisti, nati nel revival pittorico di fine anni settanta, sotto il segno di un’energia demiurgica e straniante
Lóránd Hegyi ci ha ormai abituati a resettare i nostri sguardi sulla storia dell’arte grazie al metodo delle sue rabdomantiche associazioni. Lo aveva proposto in occasione della pubblicazione di Tre maestri. Interrogazioni sul tempo dedicato a Roman Opalka, Ilya Kabakov, Jannis Kounellis (Electa «Pesci rossi», 2019). Lo ha rinnovato nel lungo percorso in otto tappe congeniato per i trent’ anni della Galleria Fumagalli di Milano (prossimo appuntamento il 17 maggio: Allargamento delle referenzialità, con Maurizio Nannucci, Maria Elisabetta Novello e Marco Tirelli). Mentre adesso, alla Galleria Umberto Benappi di Torino, il critico e curatore ungherese è arrivato alla seconda tappa del progetto Promenade: dopo la prima mostra intitolata Encounter Narratives, con Aloïs Mosbacher, Gianni Dessì e László Fehér, ecco, fino al 12 maggio, The image-creating Demiurge, protagonisti Jirí Georg Dokoupil, Giuseppe Gallo e Hubert Scheibl.
Il «metodo Hegyi» non si accontenta di restare sulla superficie della storia dell’arte, ma di indagare sotto pelle, esplorando quel reticolo nervoso in cui si possono sorprendere connessioni tra artisti che non hanno avuto contatti tra di loro. Sono connessioni rivelatrici di dinamiche e situazioni psichiche comuni, presupposto per un’inedita narrazione della stessa scena recente. Quanto alla ritualità del «tre» viene da pensare che Hegyi voglia garantire al suo metodo la solidità sibillina di una intrinseca geometria.
Nel caso della mostra in corso, negli spazi luminosi della galleria torinese, i tre artisti sono uniti dal fatto di aver partecipato a quel revival pittorico iniziato tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli Ottanta, documentato dal saggio di Wolfgang Max Faust e Gerd De Vries, pubblicato nel 1982 con un titolo emblematico Hunger nach Bildern (Fame di quadri). Ma a differenza dei movimenti che in quella stagione hanno rilanciato la pittura, Dokoupil, Gallo e Scheibl hanno lavorato in direzione di «una radicale rivalutazione di alcuni principi intoccabili e di alcuni fondamenti indiscutibili del tardo-modernismo». In che direzione si muove questa messa in discussione? Nel saggio pubblicato nel ricco catalogo, Hegyi spiega che i tre artisti si sono in particolare interrogati sulla questione «della molteplicità, delle identità e delle possibilità di ampliare le narrazioni, appropriandosi di diversi linguaggi e stili visivi, prendendo in prestito diversi sistemi linguistici e segni provenienti da epoche culturali precedenti o da contesti sub-culturali». Per operare questo scartamento rispetto alle linee maestre del modernismo hanno assunto un profilo da «demiurgi», creatori di nuove immagini, caratterizzate da un «sensualismo offensivo, un eclettismo radicale, immagini pittoresche eccentriche e sofisticate basate sulla fusione di diversi contesti socio-culturali e riferimenti provenienti dalla cultura elevata e dalla cultura bassa».
Ciascuno dei tre artisti convocati lo ha fatto in contesti diversi e davvero poco assimilabili tra di loro. Dokoupil, nato nell’allora Cecoslovacchia ed emigrato in Germania dopo l’invasione sovietica del 1968, era legato al gruppo Mühlheimer Freiheit fondato a Colonia, considerato tra le formazioni artistiche più innovative della Neue Wilde. Hegyi infatti sottolinea come i suoi dipinti vadano intesi «come l’incarnazione probabilmente più radicale della rivolta di una nuova generazione di artisti contro modelli consolidati di minimalismo, formalismo riduttivo, oggettivismo medio-centrico e analitico». Dokoupil incarna dunque una rivolta, che per attuarsi ingloba, nei processi di creazione delle immagini, riflessi assorbiti dalla propria appartenenza a micro-comunità, narrazioni minori scaturite da esperienze personali e immediate. Ecco perché i suoi dipinti si distinguono per un’eccentricità spinta, per un’ambiguità che crea scompensi nell’osservatore, spaesato nel trovare la via dritta nella lettura delle opere.
È una situazione che ritroviamo anche in Giuseppe Gallo, tra i protagonisti di quella Nuova scuola romana che può essere vista, annota Hegyi, come «incarnazione per eccellenza dello spirito del Neo-manierismo». La pittura di Gallo procede per accumulo di elementi incoerenti tra di loro nella creazione delle sue immagini. La sua energia «demiurgica» fa sì che la configurazione giocosa e pittoresca delle opere in realtà produca un esito destabilizzante, in quanto ogni volta vengono alterati i connotati delle componenti che le costituiscono. Al contrario di Gallo, l’approccio di Hubert Scheibl, protagonista dell’Austrian New Painting, è contrassegnato da un linguaggio coerentemente non figurativo e non descrittivo. La sua è una pittura venata da un romanticismo contemporaneo: le immagini lasciano trapelare riminiscenze paesaggistiche, ma ogni volta l’osservatore è destabilizzato per l’innesto di «elementi irritanti, inquietanti ed alienati, appartenenti ad una strategia in parte sovversiva».
La disamina delle tre situazioni conferma l’intuizione non si sa se più critica o rabdomantica di Hegyi, che dunque ha buon gioco nel dar luogo a una mostra combinatoria dalla quale tutti e tre gli artisti escono in una nuova luce e guadagnano interesse ai nostri occhi. Assume infatti un risvolto davvero avvincente questa assillante ricerca «di modi autentici per trasmettere le loro nuove narrazioni» e la conseguente necessità di creare immagini dalla valenza personale ed esistenziale; immagini che siano nuclei di totalità vitali e per questo eccitate ed enigmatiche nello stesso tempo. Quanto sia stata generativa per ciascuno quella decisione di marcare in questo modo i propri percorsi, lo dimostra il fatto che quarant’anni dopo quella loro carica demiurgica non si è affatto esaurita. I quadri esposti alla galleria di Umberto Benappi sono infatti nella gran parte relativi alla produzione recente, ma appaiono sempre regolati da quell’urgenza originale e da un’identica carica di «sovversivo soggettivismo», per usare l’efficace formula di Hegyi. Così le tigri dipinte a fuliggine su tela da Dekoupil sembrano in procinto di azzannare il mondo oppure, forse, di vanificarsi in polvere. Eroi, le mirabili sedie in bronzo di Gallo sfuggono dalla nostra portata crescendo a dismisura sulle loro gambe irregolari vegetali. Scheibl stende le sue superfici pittoriche così eleganti e sensuali, dando però l’impressione di essere in procinto di calare un sipario o una lama su quelle stesse superfici. Tutte immagini che continuano a sfuggirci per la loro enigmaticità, ma che ancora ci catturano con la loro aura.
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