Dodici milioni di italiani rinunciano a curarsi. Ed è boom della sanità privata
Rapporto Censis Presentato al Welfare Day 2017 la ricerca svela come nel 2016 ben 1,2 milioni di italiani in più non possano permettersi cure. I ricchi invece scelgono le strutture private, agevolate anche dal welfare aziendale
Rapporto Censis Presentato al Welfare Day 2017 la ricerca svela come nel 2016 ben 1,2 milioni di italiani in più non possano permettersi cure. I ricchi invece scelgono le strutture private, agevolate anche dal welfare aziendale
La sanità si conferma sempre più un’emergenza nazionale. Il Censis lo conferma, gli italiani che rinunciano a curarsi aumentano in maniera incredibile: nel solo 2016 sono stati 1,2 milioni in più dell’anno precedente raggiungendo la cifra mostruosa di 12,2 milioni. In pratica un italiano su quattro in età adulta. Dall’altro lato lo stato sempre più fatiscente della sanità pubblica costringe chi se lo può permettere a spendere sempre di più nella sanità privata: lo scorso anno la spesa ha raggiunto i 37,3 miliardi di euro.
L’Italia continua ad avere una spesa sanitaria pubblica in rapporto al Pil inferiore a quella di altri grandi Paesi europei. Nel nostro Paese è pari al 6,8 per cento del Prodotto interno lordo, in Francia all’8,6 per cento, in Germania al 9 per cento. Per il Censis, in questi anni il recupero di sostenibilità dei servizi sanitari regionali non è stato indolore. Anzi, è costato migliaia di posti di lavoro per mancato turn over fra medici e infermieri e tanta qualità sul lato dell’offerta.
L’ottavo «Rapporto Rbm-Censis sulla sanità pubblica, privata e intermediata», presentato in occasione del Welfare Day 2017 con il patrocinio – che suona quasi beffardo – del ministero della Salute non lascia adito a dubbi. Alla vigilia del quarantennale della istituzione del Servizio sanitario nazionale – legge 833 del 1978 – lo stato di salute della sanità pubblica è pre-fallimentare: ci sono 20 servizi sanitari regionali diversi ma pochissimi sono all’altezza.
Le difficoltà di accesso al sistema pubblico sono infatti aumentate. Le liste d’attesa sono sempre più lunghe. I dati indicano che per una mammografia si attendono in media 122 giorni (60 in più rispetto al 2014) e nel Mezzogiorno l’attesa arriva in media a 142 giorni. Per una colonscopia si aspettano mediamente 93 giorni (6 giorni in più rispetto al 2014), ma al Centro di giorni ce ne vogliono ben 109. Per una risonanza magnetica si attendono in media 80 giorni (6 giorni in più rispetto al 2014), ma al Sud ne sono necessari 111 giorni. Per una visita cardiologica l’attesa media è di 67 giorni (8 giorni in più rispetto al 2014), ma si sale a 79 giorni al Centro. Per una visita ginecologica si attendono in media 47 giorni (8 giorni in più rispetto al 2014), ma ne servono 72 al Centro. Per una visita ortopedica 66 giorni (18 giorni in più rispetto al 2014), con un picco di 77 giorni al Sud.
In questo contesto decadente il mercato della sanità diventa fiorente e sfrutta le mancanze della sanità pubblica tramite lo strumento degli «accreditamenti» che, specie al Sud, lasciano spalancata la porta alle irregolarità e alla malavita che controlla e gestisce migliaia di strutture, come accertato dalla commissione parlamentare Antimafia presieduta proprio dall’ex ministro della Sanità – e autrice dell’ultima riforma che cervava di mettere al centro il sistema pubblico – Rosi Bindi. Il Censis e Rbm stimano in oltre 15 miliardi le risorse spese ogni anno verso la sanità integrativa. Un mercato che ora sfrutta anche le defiscalizzazioni che imprese e lavoratori possono utilizzare per il welfare aziendale.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento