Internazionale

«Dodici accordi», contro la Palestina

«Dodici accordi», contro la PalestinaRoma, stretta di mano tra Letta e Netanyahu – Reuters

Italia-Israele Espansione delle colonie, Muro dell’apartheid, furto di terre, cacciata dei beduini? No, all'incontro intergovernativo con Netanyahu. Letta tace sui Territori occupati e firma con il premier israeliano una dozzina di patti bilaterali

Pubblicato quasi 11 anni faEdizione del 3 dicembre 2013

L’ombra della Palestina non ha offuscato il vertice bilaterale di Villa Madama, che ha rafforzato i già stretti rapporti economici e militari tra Roma e Tel Aviv. Nessun convitato di pietra: al governo italiano, impegnato da più di una legislatura a radicare la speciale alleanza con lo Stato israeliano, poco importa di quanto accade oltre mare. E delle proteste che da sabato a lunedì hanno avuto come teatro importanti città italiane, da Torino alla capitale, scese in piazza per protestare contro il Piano Prawer – l’espulsione forzata di 70mila beduini palestinesi del Negev – e più in generale contro l’occupazione dei Territori e le discriminazioni etniche che caratterizzano le politiche israeliane.

Il premier Letta non ha speso una parola, limitandosi a esprimere all’amico Netayahu «l’auspicio che il processo di pace in Israele vada avanti anche per i nostri amici palestinesi». Nessuna critica all’amico israeliano: prima la visita in sinagoga in occasione dell’Hannukkah, festa ebraica della luce, e poi la firma di ben 12 accordi bilaterali in campo scientifico, culturale, turistico e di cooperazione alla sicurezza. Ben diverso è stato l’approccio di Letta da quello del presidente francese Hollande, molliccio in patria e interventista militar-umanitario ma che, dallo scranno della Knesset dieci giorni fa, non ha temuto di alzare la voce contro le politiche colonizzatrici israeliane.

La priorità per l’Italia resta il business: «Questi accordi ora devono divenire fatti concreti – ha detto Letta in conferenza stampa – Le intese sono su energia, sanità, ricerca, cultura. Abbiamo avuto un momento d’incontro con il comitato congiunto creato per aiutare le start up. Riguardano tutto il Paese: la regione Abruzzo, un’università importante, un’azienda come l’Acea». Al centro del bilaterale tra Roma e Tel Aviv finisce la crisi italiana: i dodici accordi sono considerati dal governo italiano strumenti per crescita e occupazione. Entusiasmo di Letta: Israele parteciperà all’Expo 2015, annunciando «altra carne al fuoco, dossier importanti da finalizzare in altrettanti accordi» con Israele.

Tra le intese firmate ieri salta agli occhi il memorandum sull’acqua tra l’Acea e la compagnia israeliana Mekorot, uno dei pilastri del controllo e il furto delle risorse idriche palestinesi da parte di Tel Aviv. Centrali anche la questione sanitaria, con la partecipazione del Policlinico Gemelli e la facoltà di Medicina di Torino, e quella tecnologica con memorandum d’intesa in materia di hi-tech e cyberspazio. Gli affari prima di tutto.

Eppure c’è chi ha duramente protestato contro questo approccio: sabato a Torino e ieri di nuovo a Roma attivisti, organizzazioni per i diritti umani e semplici cittadini sono scesi in piazza per dimostrare solidarietà al popolo palestinese, alla battaglia contro quella che viene definita «una catastrofe mai finita», ongoing Nakba, l’espulsione della popolazione palestinese dalle proprie terre. «Sabato a Torino il corteo di mille persone ha scelto di schierarsi dalla parte di chi lotta contro l’occupazione – ci spiegano dal Collettivo Palestina Rossa – Le realtà presenti, provenienti da tutta Italia, sono le stesse che hanno condiviso il percorso dell’assemblea nazionale ‘Dalla solidarietà alla lotta internazionalista’ che ha visto tre convegni in Italia. La manifestazione è stata costruita per dire no al vertice Italia-Israele e al Piano Prawer. Negli ultimi anni i rapporti tra le reciproche dirigenze ed istituzioni si sono rafforzati. Due gli obiettivi degli accordi: favorire il libero scambio e usare l’Italia come ponte per l’Europa di cui Israele non è membro, ma in cui riesce a trovare modi per darsi l’immagine di Paese democratico».

E se la Palestina non è riuscita a ritagliarsi spazio nel bilaterale romano, ospite non gradito è stato l’Iran. Netanyahu è tornato a gridare la sua ferma opposizione all’accordo tra Teheran e il 5+1: «Vorrei cancellare ogni illusione – ha detto Bibi, in piedi accanto a Letta – L’Iran aspira ad ottenere la bomba atomica. Non minaccerà solo Israele, ma anche l’Italia e il mondo intero. C’è un regime in Iran che sostiene il terrorismo, aiuta il massacro dei civili in Siria e fornisce armi ai suoi sostenitori». I timori di Netanyahu sono ormai palesi: senza la minaccia rappresentata dall’Iran e dal suo programma nucleare, Tel Aviv perderà un fondamentale collante del consenso interno – basato sulla necessità di un nemico comune esterno – e anche la giustificazione a spese folli per gli armamenti e agli ingenti finanziamenti statunitensi per la sicurezza.

Di Palestina si è parlato in Vaticano. Nell’incontro Netanyahu e papa Francesco hanno affrontato «la ripresa dei negoziati tra israeliani e palestinesi, auspicando che si possa giungere ad una soluzione giusta e duratura». In conclusione, anche stavolta si è parlato di affari e del lungo contenzioso tra Stato d’Israele e Vaticano in merito ai privilegi fiscali di cui godeva la Chiesa cattolica prima del 1948.

 

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