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«Dobbiamo proteggere chi fugge»

«Dobbiamo proteggere chi fugge»Carlotta Sami, portavoce italiana dell'Unhcr

Intervista Carlotta Sami, portavoce italiana dell’alto commissariato per i rifugiati (Unhcr)

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 4 ottobre 2014

«Se ragioniamo in termini di assetti geopolitici è impossibile non vedere come in quest’ultimo anno la situazione sia molto peggiorata. La comunità internazionale deve spiegare alle popolazioni che non c’è una guerra, non ce ne sono due, ma siamo di fronte a una serie di conflitti nuovi, vecchi e comunque irrisolti che stanno provocando un disastro umanitario. I Paesi industrializzati, e prima di tutto l’Europa, hanno il dovere di dare protezione a chi fugge da questi conflitti». Carlotta Sami è la portavoce italiana dell’Unhcr, l’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati. Ieri anche lei si trovava a Lampedusa per commemorare il primo anniversario della strage che un anno fa è costata la vita a 366 migranti. «Mi sono trovata su una motovedetta della capitaneria di porto insieme ad alcuni sopravvissuti al naufragio», racconta. «Erano tutti eritrei e avevano in tasca il passaporto rilasciato dallo Stato europeo nel quale vivono adesso. E’ evidente che sono dei rifugiati e se oggi gli è stato riconosciuto questo diritto è chiaro che lo avevano anche un anno fa, quando hanno traversato il Mediterraneo a bordo di un barcone che poi è affondato».
Un modo per dire che l’Europa deve gestire l’arrivo dei quanti richiedono asilo politico.

Come Unhcr siamo fiduciosi che Mare nostrum non venga né sospesa né interrotta, ma è indispensabile che l’Unione europea metta a disposizione dei percorsi sicuri e legali per i rifugiati. Su questo però finora non ci sono ancora stati dei fatti concreti.

Proprio oggi (ieri, ndr) il ministro Mogherini è tornata sulla necessità di aprire canali legali di immigrazione dalla Libia. Conoscendo la situazione di guerra civile in corso da anni nel Paese, le pare possibile?

Credo che il ministro sappia benissimo qual è la situazione, e se pensa a questo tipo di azioni evidentemente presuppone un maggiore impegno nell’intervenire nella situazione libica, sia in termini di rispetto dei diritti umani, sia in termini di riconoscimento e sottoscrizione delle convenzioni internazionali, a partire da quella di Ginevra che Tripoli non ha mai firmato. Per noi in questo momento non è possibile lavorare in Libia, ma se la situazione cambiasse potremmo ben contribuire a portare competenza e sostenere queste iniziative, perché la Libia è foriera di moltissimi problemi.

Dall’altra parte del Mediterraneo però non c’è solo la Libia: in Siria la situazione è sempre peggiore e il Libano rischia di esplodere, con i profughi siriani che ormai sono un quarto della popolazione.

In questo momento l’equilibrio in Libano è veramente precario. Quello che temiamo di più è che si crei una frattura tra la popolazione e i rifugiati siriani e di conseguenza un clima di intolleranza e di respingimento. Noi stiamo aiutando il governo libanese e sappiamo benissimo quanti sforzi stia facendo, per questo è importante sostenerlo. Sarebbe veramente un disastro per i rifugiati siriani se il Libano chiudesse le frontiere.

E sarebbe un disastro ancora maggiore se l’Isis attaccasse il Libano, perché a quel punto non sarebbero solo i rifugiati siriani a fuggire ma anche i libanesi.

Ma è per questo che il nostro alto commissario ha ribadito che noi come agenzia umanitaria siamo al limite delle nostre capacità, e quindi è ineludible il fatto che ci sia uno sforzo a livello internazionale per intervenire su questi conflitti.

Veramente a livello internazionale prevalgono le opzioni militari.

Ma ci sono anche la diplomazia e la politica estera, che possono avere un grande ruolo.

Cosa dobbiamo aspettarci per l’immediato futuro?

Bisogna essere realistici. La comunità internazionale deve rendere chiaro alle proprie popolazioni il fatto che ci sono non una, non due guerre ma una serie di conflitti nuovi, vecchi e comunque irrisolti che stanno provocando un disastro umanitario. Questo significa che anche i paesi industrializzati, e l’Europa per la sua vicinanza, saranno messi alla prova, perché abbiamo il dovere di dare protezione a queste persone. E’ importante lavorare perché ci sia un clima di accoglienza e di solidarietà, senza esacerbare gli animi o contrapporre diverse necessità.

Nonostante tutti gli sforzi, il sistema di accoglienza italiano è però allo stremo.

E’ importante continuare ad assicurare le risorse necessarie e soprattutto a gestirle nel modo più efficace possibile, applicare le regole europee e sicuramente anche mettere in chiaro con Bruxelles che occorre condividere tutte le responsabilità tra i paesi che fanno parte dell’Unione europea. L’immigrazione non può essere un problema dei soli dei Paesi costieri.

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