«Riminizzazione» è un termine usato nella letteratura scientifica per indicare l’eccesso di cementificazione e sfruttamento delle coste, di cui Rimini rappresenta una delle massime espressioni. Negli ultimi anni il comune romagnolo ha cercato di ripulirsi da questa immagine negativa, che accosta la capitale del turismo balneare al degrado ambientale e paesaggistico dei litorali di tutto il mondo. Per farlo ha avviato un’imponente opera di riqualificazione e rinaturalizzazione della sua fascia costiera, che l’ha resa l’unico comune italiano a prevenire le conseguenze dell’innalzamento del mare e ad aumentare la quantità di spiagge libere. Ma queste decisioni non hanno placato alcuni contrasti tra gli interessi di balneari, albergatori, turisti e cittadini.

LA POPOLARITÀ della riviera romagnola inizia grazie a Mussolini, che la frequenta per le vacanze e ne diventa testimonial. Rimini viene distrutta dai bombardamenti nella seconda guerra mondiale, e con l’esplosione del turismo di massa, negli anni ‘60 si avvia la sua caleidoscopica espansione. Negli anni ‘80 Camilla Cederna vi conia il termine «divertimentificio» e Tondelli la definisce come «un videogame a grandezza naturale» dove avviene una «inconsueta americanizzazione della costa, nelle strutture e nei servizi».

Oggi le file di ombrelloni sono parte integrante del paesaggio come i vigneti sulle colline toscane, e alle loro spalle gli enormi alberghi e condomini accolgono 1,8 milioni di persone per 6,7 milioni di pernottamenti all’anno, in una città che conta meno di 150.000 abitanti. Ma i problemi ambientali e sociali sono sempre più accentuati: l’erosione minaccia la scomparsa della spiaggia, da cui dipende gran parte dell’economia locale, e l’overtourism genera carenza di alloggi residenziali e sfruttamento dei lavoratori e delle risorse naturali. Un recente report di Demoskopica ha inserito Rimini tra le 7 province italiane con il maggiore livello di pressione turistica, insieme a Venezia, Bolzano, Livorno, Trento, Verona e Napoli.

Il nuovo approccio nella gestione della fascia costiera è iniziato col sindaco Andrea Gnassi, oggi deputato Pd. È lui ad avviare il “Parco del mare”, una grande opera pubblica che ha pedonalizzato 7,5 chilometri di lungomare e lo ha innalzato di circa un metro. Il progetto ha compreso la creazione di bacini di contenimento per l’acqua alluvionale e il ripristino delle dune e della vegetazione in spiaggia, che sono delle barriere naturali contro le mareggiate. Inoltre si è realizzato un impianto fognario per risolvere il problema degli scarichi in mare, che in estate costringeva spesso il comune a imporre divieti di balneazione a causa degli elevati livelli di escherichia coli.

Ad oggi Rimini è l’unico esempio in Italia di adattamento all’innalzamento del livello del mare e ha ridotto del 45% il rischio di danni da inondazioni secondo il modello Expected annual damage. Il nuovo piano dell’arenile prevede anche la possibilità di sopraelevare i chioschi sulla spiaggia fino alla quota di sicurezza stabilita dalle proiezioni per il 2050. «Già oggi queste strutture finiscono sott’acqua durante le mareggiate, è un problema da risolvere», spiega il sindaco di Rimini Jamil Sadegholvaad.

I TITOLARI di alcuni alberghi fronte spiaggia hanno protestato contro il Parco del mare perché ha impedito l’accesso alle auto e comportato l’eliminazione di centinaia di parcheggi. Al loro posto ora sorgono piste ciclabili, campi sportivi e attrezzi ginnici gratuiti, che hanno trasformato una strada in un luogo pubblico e pedonale dedicato all’attività fisica.

Ma ci sono state voci critiche anche su questo, come quella della politologa riminese Nadia Urbinati: «Con gli strumenti da palestra su una duna artificiale supportata da una colata di cemento, vedere sotto un sole cocente alcuni palestrati sudati che mostrano i bicipiti è un po’ patetico. Quelle palestre a cielo aperto si arrugginiranno e diverranno spettrali segni di un circo ormai finito», ha scritto. «Il lungomare poteva essere rifatto con più fantasia. Quel che mi urta è la mania imitativa: ma Rimini non doveva fare tendenza? E invece scopiazza Barcellona e Santa Monica». L’americanizzazione descritta da Tondelli pare ancora in corso.

DAVANTI AL PARCO del mare, le spiagge sono occupate per più del 90% da concessioni balneari. Si tratta di una delle quote più alte d’Italia, ma con la scadenza dei titoli fissata dal governo Draghi per il 31 dicembre 2023, Rimini ha deciso di aumentare le spiagge libere da 14 a 26. «Lo faremo mantenendo lo stesso numero di concessioni esistenti, ma riducendo le dimensioni di alcune», sottolinea Sadegholvaad.

È il raro esempio di un comune che aumenta le spiagge libere anziché diminuirle; tuttavia la scelta ha scontentato più fazioni: le cooperative dei balneari riminesi si oppongono ai ridimensionamenti, mentre il comitato Mare Libero ritiene insufficiente la quantità di nuove spiagge libere e chiede di portarle al 40%.

«Al comune interessa trovare un equilibrio», commenta il sindaco. «Stiamo andando incontro alle persone che chiedono più spiagge libere, ma al contempo la forza del turismo a Rimini è sempre stata merito dei servizi sull’arenile. Pensare di spazzarli via mi sembra ideologico e irragionevole». Una prima bozza del piano dell’arenile prevedeva di rendere libere le spiagge più centrali, ma i balneari hanno chiesto di spostarle in aree più marginali e il comune dovrà decidere se accogliere o meno l’istanza.

Il sistema imprenditoriale basato sul turismo è molto consolidato. Sadegholvaad afferma che «il 70% del Pil di Rimini è generato dal turismo», perciò le scelte politiche sono prese di conseguenza. Secondo Federica Montebelli di Casa Madiba, che si occupa di emergenza abitativa a Rimini, «la gestione della fascia costiera viene effettuata in ottica turistica, più che ambientale. Il Parco del mare è emblematico: va bene avere eliminato le auto e ripristinato le dune, ma si tratta comunque di un’opera pensata per la turistificazione della città. Non tutti i cittadini si accontentano di questi interventi urbanistici, perché ci sono altri problemi irrisolti».

Montebelli si riferisce agli aspetti negativi dell’overtourism: «Si è iniziato a parlare di questo problema da pochi anni, quando è esploso a Venezia, Firenze e Bologna. A Rimini invece il turismo di massa è un fenomeno storico e noi residenti ci siamo abituati dalla nascita. Solo dopo il Covid e l’alluvione è emersa la precarietà di un’economia basata solo sul turismo, che peraltro non porta benessere diffuso bensì sfruttamento dei lavoratori, sottrazione e messa a rendita dello spazio pubblico, carenza di alloggi abitativi per le fasce più povere».

Il sindaco non è d’accordo: «Si può dire che Rimini si identifichi con l’overtourism sin dagli anni ’60, senza che sia mai stato un problema. Ai cittadini brillano gli occhi, quando cominciano a vedere le strade brulicare di turisti. Ovviamente ci sono le eccezioni, ma abbiamo sempre cercato di trovare un equilibrio nella qualità della vita dei residenti e dei turisti».