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Diva, memorabilia di un’emancipazione

Diva, memorabilia di un’emancipazioneLa mostra "Diva" a Londra, Victoria & Albert Museum, in primo piano la teca dedicata a Prince

A Londra, Victoria & Albert Museum, "DIVA", a cura di Kate Bailey con Veronica Castro Adelina Patti ritratta da Winterhalter, il "beauty case" di Edith Piaf, l’abito giallo di Ella Fitzgerald, le scarpe "new romantic" di Prince, le paillettes di Annie Lennox: un fenomeno di rottura, sino al fluido... Esperienza immersiva divisa in «atti»: si parte dal «trono dorato» celebrato da Gauthier

Pubblicato circa un anno faEdizione del 23 luglio 2023

Se c’è una parola che più di altre è associabile a «diva» certamente è «dream», sogno, da Just like a Prayer di Madonna a Dream of Life cantata da Billie Holiday in duetto con Louis Armstrong, che intonava anche Dream a Little of Me insieme a Ella Fitzgerald, da Edith Piaf (Tu n’as pas besoin de mes rêves) a Tina Turner (Dancing in my Dreams). Poi Blondie (Dreaming), Liza Minnelli (We Had a Dream), Beyoncé (Sweet Dreams), Dolly Parton (Dream Do Come Through), Mariah Carey (Dreamlover) e anche Patti Smith che in People Have the Power inneggia a un popolo che ha «il potere di sognare, di governare / per lottare contro il mondo degli sciocchi».
Non solo lustrini e paillettes: tra gli eccessi e i capricci delle «divinità» celebrate negli ultimi due secoli si legge tanta ambizione quanta consapevolezza. Non è un caso che proprio la frase del 1963 di Betty Friedan: «l’unico modo per una donna di conoscere se stessa come persona è attraverso il proprio lavoro creativo», possa essere considerato il fil rouge della mostra DIVA, curata da Kate Bailey con Veronica Castro, al Victoria & Albert Museum di Londra fino al 7 aprile 2024.
Nei due livelli dello spazio circolare della Gallery 40, nel più grande museo al mondo dedicato ad arte, design e performance, entrare nel padiglione con le cuffie super-tecnologiche alle orecchie (permettono l’immediata associazione sonora con ciò che ci si ferma a guardare), determina un’esperienza immersiva emozionante. Ma qual è oggi il significato di «diva»? Seguendo la suddivisione di una pièce teatrale o di un’opera musicale, il Primo Atto dell’esposizione analizza le radici etimologiche della parola stessa, partendo dal significato latino di dea/divinità pagana e dal suo successo nell’Ottocento, quando venne adottata per celebrare le cantanti liriche e le attrici, ampliando l’orizzonte dal palcoscenico al grande schermo.
Théophile Gautier, grande ammiratore di Carlotta Grisi, la celebre interprete di Giselle che secondo lui incarnava il prototipo della ballerina ideale, è tra i primi a trattare il fenomeno, anche nella sfumatura di primadonna, parlando di «trono dorato» e «diadema della diva». Figure come Jenny Lind («l’usignolo svedese») e Adelina Patti («regina della canzone») sono da subito emblematiche non solo per l’estensione delle loro corde vocali, anche per la capacità di sfidare le convenzioni affermando la propria emancipazione di donne. In particolare Patti, che cantava Casta Diva nella Norma di Bellini (sfiorerà il sublime la successiva interpretazione di Maria Callas), era anche un’imprenditrice di se stessa in grado di commissionare, intorno al 1865-’70, il proprio ritratto a olio a un pittore di corte come Franz Winterhalter, esposto in mostra insieme all’abito (con scarpe abbinate) di seta e satin uscito dalla sartoria parigina di Morin-Blossier. Tra gli altri cimeli una sua foto all’albumina in formato carte-de-visite dell’ultimo ventennio dell’Ottocento.
La fotografia è stata il mezzo ideale per veicolare, al di qua e al di là dell’Oceano Atlantico, la notorietà di queste pioniere del Belcanto, ballerine e attrici teatrali e cinematografiche: nella lunga lista Sarah Bernhardt, Theda Bara e Lyda Borelli, Josephine Baker («sirena dei tropici») e Mary Pickford, fondatrice anche della casa di produzione cinematografica United Artists insieme a Douglas Fairbanks, Charlie Chaplin e D.W. Griffith. Si prosegue, poi, con le dive degli anni quaranta-sessanta, fra cui Katharine Hepburn, Marilyn Monroe (esposta la sceneggiatura di Niagara del 1953, con le note dell’attrice) ed Elizabeth Taylor con il costume indossato nel film Cleopatra (1963).
Nel Secondo Atto, «Reclaiming the Diva», la schiera di donne anticonformiste, volitive, fragili e potenti si arricchisce di menti brillanti soprattutto nel campo musicale, rappresentando una ribellione che fa di loro molto più che le carismatiche star delle hit parade, basti pensare a Edith Piaf («l’ugola insanguinata»), magnetica icona del black style di cui, tra gli oggetti provenienti dal Musée Edith Piaf di Parigi, c’è il beauty case con specchio, pettine e spazzola. In un dialogo serrato tra chanson e jazz vediamo l’abito giallo indossato da Ella Fitzgerald negli anni settanta: giallo come la tuta di Debbie Harry nel tour europeo del ’79 dei Blondie e l’outfit della cantautrice Adele nella copertina di «British Vogue» (novembre 2021). Quanto a Björk («regina del ghiaccio») ecco apparire come nelle favole la maschera, il costume nero e oro e le scarpe (un mix tra calcagnetti veneziani e geta giapponesi), sfoggiati dalla cantante islandese durante il concerto Orkestral – All 4 Live Stream Shows a Reykjavik nel 2021. Non meno sontuoso, certamente, di quello disegnato nel 1997 dalla costumista britannica Sandy Powell (pluricandidata all’Oscar) per il 50° compleanno di Sir Elton John, con tanto di parrucca in stile Luigi XIV.
Da almeno trent’anni il termine «diva» è sempre più fluido, come lo sono i suoi protagonisti: Prince con le scarpe New Romantic con il tacco (le indossava nel 1994), che riflettono il suo look sexy fuori dai binari¸ SOPHIE icona trans del pop sintetizzato e ipercinetico e Lizzo, autrice dell’inno LGBT Everybody’s Gay.
Ma le vere anticonformiste sono Anne Lennox e Rihanna che hanno fatto delle modificazioni del loro corpo in gravidanza, di cui viene esaltata l’armonia naturale e la sensualità, una bandiera per infrangere stereotipi vecchi quanto l’origine del mondo. Rihanna con l’abito di pelle di Alaïa indossato agli Academy Awards 2023 e nel servizio fotografico di Annie Leibovitz, avvolta in un’aderentissima tuta rossa dello stesso stilista che le fascia il pancione, per la copertina di «Vogue America». Quanto all’abito di paillettes di Annie Lennox, la fondatrice degli Eurythmics lo indossò quando era incinta della sua secondogenita Tali nel video di Little bird, un brano del suo primo album da solita (Diva, 1992).
Al di là del glamour, meravigliose creature come Janis Joplin, Joan Baez, Diana Ross, Aretha Franklin («regina del soul»), Barbra Streisand, Patti Smith, Madonna e tantissime altre hanno dichiarato attraverso la potenza della voce il loro attivismo politico; Nina Simone, in particolare,«suonava i diritti civili» come lei stessa affermava. «Giovane, dotato e nero / Oh che bel sogno prezioso / Essere giovani dotati e neri/ Apri il tuo cuore a ciò che intendo», cantava in Young, Gifted and Black (1969), guardando al futuro con una carica di ottimismo e speranza. La canzone era stata scritta in memoria dell’amica Lorraine Hansberry, prima autrice afro-americana a debuttare nel 1959 a Broadway con A Raisin in the Sun.

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