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Disturbare (almeno un po’) il manovratore

In una parola

In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 23 febbraio 2021

Ieri sera in tv il nome di Mario Draghi l’ho sentito pronunciare – comprensibilmente più volte – non solo nei notiziari e nei talk show. Anche una trasmissione sulle bellezze della natura e dell’arte si è aperta con l’evocazione degli impegni del neo premier per assicurare la «transizione ecologica».

Sui quotidiani principali poi è tutto un fiorire di «regole di Draghi» per affrontare il virus, della «spinta di Draghi» per ottenere successi sulla scena europea, del «metodo Draghi» per far lavorare ministri e funzionari, come probabilmente mai si era prima ammirato.

Viene in mente la cavatina di quel barbiere «pronto a far tutto, la notte e il giorno» e che «sempre d’intorno in giro sta». Tutti gli chiedono, tutti lo vogliono, ma si può star certi (o almeno ci contiamo) che l’interpellato non risponderà «pronto prontissimo son come il fulmine: sono il factotum della città».

Anzi, Draghi, da quell’uomo prudente che sembra essere, ha già messo le mani avanti. Alla fine del dibattito in Parlamento sulla fiducia – nel quale non sono mancati riconoscimenti assai poco misurati alla sua autorevolezza – ha ringraziato «della stima che mi avete dimostrato» aggiugendo: »ma anche essa dovrà essere giustificata e validata nei fatti dall’azione del governo da me presieduto».

Parleranno i fatti, e del resto è stato subito rilevato con un certo stupore alquanto ammirato che l’ex presidente della Bce non è presente nel chiassoso mondo dei social, non ha un «profilo» facebook, o instagram, né twitter. Ha nominato sua portavoce una signora espertissima della sorvegliatissima comunicazione finanziaria. La «battuta» in tempo reale rischia di essere solo un ricordo.

Cosa che determina, a quanto pare, un certo scompiglio nel mondo dell’informazione politica. Alberto Ferrigolo ha raccolto – sul sito Professione reporter – opinioni da altri colleghi che seguono abitualmente le cronache «dal palazzo». Addio al metodo della «velina continua» e della ossessiva presenza sui social instaurato da Rocco Casalino. Ora – ho letto proprio questa frase – bisognerà abituarsi a cercare le notizie!

Non sono mancati in questi giorni i pareri di comunicatori di professione che non si sono trattenuti dal consigliare a Draghi una certa prudenza nell’essere prudente, e riservato. Il popolo ha bisogno di essere informato e soprattutto ben orientato.

In questo, al di là di una certa retorica pan-mediatica, vagamente paternalista, c’è un po’ di verità.

I social sono ormai una realtà del nostro modo di vita che certo non dovrebbe condizionarci tanto, ma che offrono molte opportunità di comunicazione e di informazione.

Un premier che si astiene totalmente dal frequentarli oggi può essere un buon antidoto allo sguaiato superaffollamento che conosciamo. Tuttavia, non si potrebbe dare il caso di un leader politico capace di utilizzarli in un modo diverso? Non per la propaganda faziosa, quando non volgare e violenta, ma per facilitare l’accesso a informazioni utili e favorire una partecipazione consapevole di cittadini e cittadine.

Utopie? Può darsi.

Quando sento però i cosiddetti «governatori» invocare il «portavoce unico» per il Comitato tecnico scientifico che sorveglia e studia la pandemia, o dire che questa sarà sicuramente la scelta di Draghi, molti dubbi mi assalgono.

La confusione e le liti degli scienziati in tv ci irritano. Ma la eventuale censura sulle differenze di opinioni tra chi ha responsabilità tecniche e scientifiche, così come tra chi fa politica e governa, sono un rimedio peggiore del male. Siamo in democrazia, non in una «guerra» in cui «il nemico ci ascolta».

Bisogna essere capaci di discernimento, anche disturbando il silenzio del manovratore.

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