Alias

Disney, l’ombra lunga dei sequel

Disney, l’ombra lunga dei sequel

Cartoni/Il prossimo 24 marzo arriverà anche in Italia il canale streaming del celebre colosso statunitense dell’animazione Per anni l’azienda ha prodotto seguiti solo per il mondo homevideo. Titoli che al cinema non avrebbero funzionato qui destavano interesse. Si tratta di opere di scarso impatto in cui soprattutto canzoni e colonna sonora lasciano molto a desiderare

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 29 febbraio 2020

Il 24 marzo sbarcherà anche in Italia il canale streaming Disney+ con contenuti concorrenziali come lo spin off di Star Wars, Mandalorian, forte della sua mascotte verde senza nome, rinominata dai fan «Baby Yoda». Non solo: gli appassionati dei classici d’animazione potranno gustarsi, per la prima volta, la versione live del cult Lilli e il vagabondo, un po’ come era successo nei cinema per Aladdin con Will Smith o Il re Leone in una sfavillante computer grafica. Il catalogo del nuovo canale conterrà inediti e classici, anche poco noti ai più, scoperchiando un pentolone non solo di meraviglie, ma anche di mostruosità. D’altronde la casa di Topolino nasconde alcuni scheletri negli armadi, diversi film che da bambini magari amavamo anche, con la sfrontata sciaguratezza del fanciullo, ma che ora da adulti possiamo dirlo, erano veri abomini.
CATENA DI MONTAGGIO
C’era un periodo oscuro nel quale la Disney produceva direttamente per l’home video, come una vera catena di montaggio, dei seguiti scadenti di successi importanti, pellicole che con gli anni abbiamo dimenticato, in una sorta di protezione mentale alla bruttura, ma che esistono e soprattutto cantano atrocemente melodie mai diventate famose. Come diceva Fabrizio De André nella struggente La città vecchia, «se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli in quell’aria spessa carica di sale gonfia di odori lì ci troverai i ladri gli assassini e il tipo strano quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano». Eccoci quindi pronti a varcare la soglia dell’inferno dell’animazione canora, superando il «Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate» per «arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima».
TERRA DEI CANGURI
Il 1990 è l’anno per la Disney di Bianca e Bernie nella terra dei canguri (The Rescuers Down Under), diretto da Hendel Butoy e Mike Gabriel. È il ventinovesimo Classico Disney e il sequel de Le avventure di Bianca e Bernie (1977), pellicola di grande successo, anche se stavolta i piani per bissarne gli incassi si rivelano fallimentari: il film costato 30 milioni di dollari ne guadagna solo 27 negli States. Un vero disastro se si pensa che La sirenetta, dell’anno precedente, con un costo di 40 milioni ne aveva portati a casa più di 112, e altrettanto (se non di più) faranno i successivi La bella e la bestia, Aladdin, Il re Leone, Pocahontas e Il gobbo di Notre Dame. La Disney però si accorge di una cosa che aveva sottovalutato: se Bianca e Bernie nella terra dei canguri non incassa al cinema, vende invece molto nel nascente mercato delle vhs. Da lì il passo è breve per una nuova forma di successo: se si abbassa il budget dei seguiti futuri e li si manda direttamente in home video nelle case degli appassionati, saltando la sala cinematografica, i guadagni sono comunque garantiti. È la nascita dei sequel e prequel low cost dei classici Disney che abbiamo amato, produzioni di solito scadenti nell’animazione e nei numeri musicali, creati solo per sfruttare la fama di marchi ai quali la casa del topo più pedante dei fumetti non credeva più. Arriva quindi nel 1994 Il ritorno di Jafar, seguito dell’Aladdin che, con un budget di 28 milioni (2 meno di Bianca e Bernie nella terra dei canguri), aveva fatto guadagnare, nel 1990, più di 500 milioni in tutto il mondo. Quindi stavolta si pensa che 3 milioni e mezzo bastino per giustificare un seguito, il primo Disney che uscirà solo in vhs, e, anche se il risultato artistico è disarmante e pauperistico, il film ottiene un ottimo successo di vendite (15 milioni di copie con circa 300 milioni di dollari). Della partita non è più ovviamente il compianto Robin Williams (ma tornerà in Aladdin e il re dei ladri), voce iconica del Genio della lampada (da noi magnificamente doppiato da Gigi Proietti in tutti i capitoli della serie), ma il resto del cast rimane quasi del tutto invariato.
Cosa non funziona? A parte una storia non accattivante e animazioni legnose, a non convincere sono soprattutto i momenti canori, marchio di fabbrica delle produzioni Disney, qui veri scimmiottamenti delle hit del precedente Aladdin. Basti pensare alla nuova versione di Notti d’Oriente (Arabian Nights) con testi meno efficaci e performance poco convinte, ma soprattutto l’atroce Non c’è un amico al mondo come te (Nothing Like a Friend), interpretata da un Dan Castellaneta interessato più a imitare Robin Williams che a impegnarsi davvero, una vera storpiatura della travolgente Friend Like Me del primo capitolo. C’è da dire che la versione italiana si salva in quanto i numeri del Genio, qui in versione azzurro sbiadito, sono eseguiti con grande trasporto dal citato Gigi Proietti e anche l’insalvabile riesce ad essere, in questo caso, una melodia orecchiabile. La cosa che fa riflettere di più però è che le musiche migliori de Il ritorno di Jafar sono la riproposta strumentale, come sottofondo, dei classici motivi One Jump Ahead, Prince Ali e A Whole New World ascoltati nel primo capitolo. Sembra che questa pellicola dovesse essere uno speciale tv poi dirottato in home video, ma si percepisce che qualcosa all’interno non funziona come dovrebbe, anche solo dalla presenza centellinata del Genio, dal ruolo maggiore di comprimari, come la scimmia Abu, ma soprattutto da un certo appiattimento del ruolo della donna nel personaggio della principessa Jasmine, ora solo figura stereotipata di giovane innamorata bidimensionale.
CENSURA
Il ritorno di Jafar incredibilmente ebbe problemi di censura: la morte dell’antagonista, liquefatto in scheletro, terrorizzava i giovani spettatori, così si decise, nelle uscite successive in dvd, di accorciare la scena per renderla meno horror. Il film ebbe recensioni per lo più negative, ma questo non impedì alla Disney di produrre nel 1996, Aladdin e il re dei ladri, un seguito stavolta però dignitoso. La maggiore attenzione verso la parte musicale e una storia più accattivante fanno vincere alla pellicola, nel 1997, il prestigioso Annie Awards, l’Oscar del film d’animazione, per la miglior produzione a cartoni per l’home entertainment, più diversi altri riconoscimenti grazie alla convincente colonna sonora. Torna, come già scritto, Robin Williams che ridoppia completamente il lavoro già iniziato dal suo imitatore Dan Castellaneta, e fornendo una performance del Genio convincente quasi, se non di più, del primo capitolo. In aggiunta gli animatori si scatenano con mille trasformazioni del personaggio che spaziano da Topolino a Mrs. Doubtfire fino a citare altri cartoni Disney quali, ad esempio, Pocahontas. Come nel classico originale, al Genio, che torna a essere blu, vengono affidati i numeri musicali migliori, in questo caso Father and Son e Party in Agrabah, bellissimo momento canoro che accompagna i preparativi per il matrimonio di Aladdin e Jasmine.
La colonna sonora si mantiene su livelli più che dignitosi anche grazie alle due canzoni dei cattivi, la divertente Welcome to the Forty Thieves e la cinica Are You In or Out, abili a descrivere alla perfezione il mondo dei quaranta ladroni. Unica nota stonata è la poco significativa Out of Thin Air, cantata da un Aladdin desideroso di incontrare suo padre, non molto orecchiabile neanche come motivetto. Aladdin e il re dei ladri è comunque una sorpresa inaspettata, divertente e movimentato, dai numeri musicali degni di nota, che genererà sia una discontinua serie tv animata che un film dedicato soltanto alla principessa Jasmine diviso in tre episodi, Le magiche fiabe di Jasmine-Una giornata da principessa, produzione del 2005 destinata ad un pubblico più infantile.
IL REGNO DI KOVU
Dopo Il ritorno di Jafar, la Disney produce nel 1997 La bella e la bestia 2-Un magico Natale, stavolta non un sequel, ma un midquel, ovverosia una storia che affronta eventi successi nel capitolo precedente, mai raccontati. L’animazione passa dallo splendido al mediocre in pochi cambi di scena, disomogenea ed efficace soprattutto quando sperimenta una primordiale computer grafica con il villain della vicenda, Maestro Forte, un malvagio compositore di corte, trasformato tempo prima in un gigantesco organo a canne. I numeri musicali sono discreti, soprattutto quelli interpretati da Paige O’Hara, nella versione nostrana doppiata dalla brava Marjorie Biondo: strepitoso il suo Ci sarà sempre il natale (As Long as There’s Christmas), tema portante del film, un pezzo corale accompagnato dalle armoniche voci di Jerry Orbach/Lumiere, David Ogden Stiers/Cogsworth, Bernadette Peters/Angelique e Angela Lansbury/Mrs. Potts. Le partiture e canzoni originali vennero composte da Danny Elfman su testi di Alan Menken e la peculiarità fu di registrarle «dal vivo» con un’orchestra e il cast in una stanza.
Tra le canzoni come non citare poi Sulle ali dell’immaginazione (Stories), un canto di Bella fortemente ispirato al finale della Sinfonia n. 5 di Jean Sibelius. Strana, dai toni più dark è invece Non devi innamorarti (Don’t Fall in Love), cantata nell’originale da Tim Curry, in italiano da Franco Chillemi, con influenze dalla What’s This? di Nightmare Before Christmas, altro famoso lavoro di Elfman. La bella e la bestia 2-Un magico Natale si rivela alla fine un buon prodotto, penalizzato soltanto dalla scarsa cura della resa tecnica, ma di certo migliore del seguito, Il mondo incantato di Belle (Belle’s Magical World) del 1998, scarso in ogni suo aspetto, dall’animazione alla storia (4 cortometraggi legati insieme) fino alla colonna sonora, ad opera di Harvey Cohen, mai notevole neppure nei due stucchevoli canti di Belle, Parliamo con il cuore e Un po’ d’amore.
Sono sempre dello stesso anno anche Il re Leone II-Il regno di Simba (The Lion King II: Simba’s Pride) e Pocahontas II-Viaggio nel nuovo mondo, dei quali il più interessante è senza dubbio il primo. Si parte con la splendida He Lives in You, cantata da Tina Turner, che offre un parallelismo con il famoso Circle of Life di Elton John, già questa sufficiente per far apprezzare il lavoro. Il problema, un po’ come per Il ritorno di Jafar, è la mancanza di fantasia, ogni canzone sembra un riciclo, notevole è vero ma sempre di riciclo si parla, delle classiche hit già ascoltate nel primo capitolo. Per esempio We Are One replica il momento in cui, nel precedente Re Leone, Mufasa impartiva a suo figlio Simba gli insegnamenti sulle stelle, così come Upendi ricicla le atmosfere giocose di I Can’t Wait to Be King. La colonna sonora si eleva per un istante a dimensioni inedite solo con One of Us, un momento drammatico nel quale Kovu, figlio del malvagio Scar, viene ingiustamente esiliato dalle Terre del Branco. Per il resto abbiamo una buonissima animazione e una storia interessante che guarda a un’altra tragedia di Shakespeare, non l’Amleto, ma Romeo e Giulietta, ovviamente però con happy end.
Peggio andrà con Il re Leone 3-Hakuna Matata, spassosa rivisitazione del primo Il re Leone dal punto di vista dei folli Timon e Pumba, ma assolutamente carente dal punto di vista musicale e già calato in una dimensione troppo fanciullesca per essere davvero apprezzato. Di poco conto sono anche le canzoni (appena 6) di Pocahontas II-Viaggio nel nuovo mondo, delle quali si salva però la movimentata What a Day in London cantata dalla brava Judy Kuhn accompagnata da un coro di voci dall’accento marcatamente inglese, perfetta per far comprendere lo spaesamento dell’indiana protagonista in un paese straniero. Per il resto non convince né l’animazione (ma è una pecca dei direct to video Disney) né la storia che tocca punte di cretinerie estreme quando vuole fare la morale sui veri selvaggi, gli inglesi, ma poi fa innamorare Pocahontas di un inglese, John Rolfe, suo marito comunque anche nella realtà degli eventi storici. Solo che fu proprio questa scelta narrativa, l’infedeltà dell’indiana verso il suo storico amore, John Smith, che condannarono questo seguito all’insuccesso.
IN FONDO AGLI OCCHI
I peggiori seguiti Disney, alcuni con trame così assurde e suicide da non crederci, però dovevano ancora venire: La sirenetta II-Ritorno agli abissi (The Little Mermaid II: Return to the Sea) del 2000, Lilli e il vagabondo II -Il cucciolo ribelle (Lady and the Tramp II: Scamp’s Adventure) del 2001 e Cenerentola II-Quando i sogni diventano realtà ne sono gli esempi più eclatanti, storie poco ispirate, remake camuffati da seguiti e senza una sola idea di originalità in musiche mai davvero memorabili. Non brutti ma sicuramente imbelli, senza neanche tentare di creare qualcosa di originale come ne Il re Leone 2 e la sua avventata ma efficace rilettura shakesperiana.
Meglio va con Bambi e il grande principe della foresta del 2006, midquel del primo capitolo, nel quale si racconta l’incontro del piccolo cerbiatto ancora cucciolo con suo padre. Il film a livello narrativo e spettacolare funziona talmente che, in Italia, lo si farà uscire persino al cinema anche se si tratta di un prodotto originariamente pensato per l’home video. Buona la colonna sonora anche se c’è un divario tra i brani strumentali di Bruce Broughton, molto efficaci, rispetto alle canzoni, troppo sdolcinate senza mai riuscire ad essere convincenti. Altro titolo, non memorabile ma degno di non essere buttato nel calderone degli orrori Disney, è l’inaspettato La carica dei 101 2 -Macchia, un eroe a Londra. Il comparto grafico del film è di tutto rispetto con una certa cura nel riproporre il tratto un po’ antico del primo capitolo, a cominciare dai fondali, poveri nel rispetto del modello, con sfondi abbozzati e con una colorazione leggermente sfasata. Anche la colonna sonora ripropone brani classici come Crudelia De Mon, lo spot Kanine Krunchies Kommercial o Dalmatian Plantation, ottimi anche ora, e riesce a non deludere neppure coi nuovi pezzi, Thunderbolt Adventure Hour, e soprattutto l’orchestrale, dai toni scatenatamente swing, Try Again, interpretata con nerbo da Will Young, uno di quei pezzi che ti fanno venire voglia di lanciarti in balli acrobatici.
IL PEGGIORE
La palma però di peggior seguito Disney va senza dubbio a Il gobbo di Notre Dame II (The Hunchback of Notre Dame II) del 2002 con un’animazione, realizzata in Giappone come per Pocahontas 2, dalla fattura mai così indecente anche per un prodotto home video. Disegni grezzi, privi di ombre e dettagli, sceneggiatura banale e insulsa, sono salvati unicamente dal comparto sonoro che regala un paio di canzoni che, in un altro contesto, sarebbero state banali, ma che, in un’aria di mediocrità assoluta, sembrano pezzi scritti dai The Beatles. Si parte con la bella Le jour d’amour cantata da Clopin con una sequenza popolaresca molto simile alla festa dei folli. C’è poi il corrispettivo di Out There, l’ottima An Ordinary Miracle, in cui Quasimodo, con la storica voce italiana di Massimo Ranieri, esterna il suo disagio interiore e i suoi desideri.
Con più di 20 sequel la divisione home video della Disney ha raggranellato, a discapito molte volte della qualità, tanti milioni di dollari riuscendo a focalizzare la giusta dimensione di cinema in casa per prodotti che, su grande schermo, non avrebbero avuto una vita lunga. Grazie alle vhs, gli incubi dei bambini di tutto il mondo si sono concretizzati. Così domande che nessuno si era mai fatto davvero come «Bambi aveva un papà?» o «Tarzan è mai stato bambino?» hanno avuto una risposta, a volte stupida è vero ma pur sempre una risposta.
Questi prodotti restano però bizzarrie che a volte hanno alzato la testa dal mucchio d’immondizia per proporre, come nel caso de La bella e la bestia 2-Un magico Natale, canzoni degne di nota e numeri musicali competitivi con quelli dei fratelloni su grande schermo. Purtroppo con la fine delle vhs e l’avvento dell’era digitale, anche i sequel Disney sono morti. Gli ultimi sono stati, nel 2007, Red e Toby 2-Nemiciamici (The Fox and the Hound 2), Cenerentola-Il gioco del destino (Cinderella III: A Twist in Time) e La sirenetta: Quando tutto ebbe inizio (The Little Mermaid: Ariel’s Beginning), ovviamente inverecondi e mai davvero divertenti. Eppure un po’ di nostalgia la proviamo nel ripensare a loro perché alla fine, con gli occhi del fanciullo, anche queste produzioni scalcagnate ci parevano bellissime, ma con la saggezza dell’adulto possiamo ringraziare il cielo che un Frozen 2 sia uscito al cinema senza che Olaf sembrasse disegnato da un artista espressionista!

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento