La pandemia che ci accompagna da più di due anni ha generato dei numeri impressionanti: sono stati superati 500 milioni di casi e 6 milioni di morti a livello planetario. Tre saggi di recente pubblicazione si occupano da angolazioni diverse di questo che possiamo definire senza tema di smentita un flagello che ha colpito l’umanità intera.
Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Sanità Roberto Speranza per l’emergenza covid-19 e ordinario di Igiene Pubblica alla «Cattolica» di Roma, ha scritto Pandemia. Quello che è successo e quello che non dovrà più succedere (Laterza, pp. 130, euro 15). Ricciardi è sempre stato molto critico e stringente nelle sue analisi e per nulla agiografico. A suo parere, la pandemia ha distrutto le economie e ha alterato il nostro modo di vivere. Scrive nel suo saggio: «Il covid-19 ha rivelato la sconcertante fragilità del nostro Paese, la nostra vulnerabilità, la nostra incapacità di cooperare, di coordinarci e di lavorare e agire insieme (…) Siamo stati travolti da un virus che ci ha fatto precipitare nell’incertezza, nella povertà, nella limitazione della libertà». Tra i temi tornati di attualità vi è la capacità del sistema sanitario di prevenire i rischi e tutelare la salute pubblica intercettando possibili elementi di rischio, ad esempio individuando le cause sociali e ambientali che generano determinate patologie.

GIUSEPPE REMUZZI, direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche «Mario Negri» di Milano, ha scritto un saggio che pone una questione fondamentale in ambito medico titolandolo Quando i medici sbagliano (Laterza, pp. 149, euro 15). La medicina non ha da offrire verità assolute e il libro di Remuzzi che muove una critica puntuale alla banalizzazione mediatica della scienza. Non solo, anche la scienza ufficiale ha sbagliato. Nel corso del 2020, la maggior parte degli articoli scientifici «ritrattati» ha riguardato studi su Sars-Cov2. Secondo la rivista «Nature» la pandemia ha completamente sconvolto i ritmi della scienza. Nel 2020 circa il 4% della produzione mondiale di ricerca è stata dedicata al coronavirus, provocando un diluvio di pubblicazioni sul tema: oltre 100mila articoli scientifici.

Scrive Remuzzi: «Molti governi hanno speso miliardi per fare fronte all’epidemia, ma è stato speso pochissimo per i servizi sociali essenziali. Fra l’altro, politiche solo nazionali o solo locali non bastano più per rimuovere le diseguaglianze, devono potersi integrare in progetti di largo respiro». La crisi ha fatto emergere numerose criticità che rendono necessario un ripensamento dell’organizzazione del sistema sanitario e più in generale del welfare. La riflessione svolta rimette al centro del dibattito il tema della salute pubblica e ci riporta indietro nel tempo mettendoci di fronte a un’evidenza incontrovertibile: la salute non è una questione prettamente individuale, ma riguarda tutta la comunità.
Tra gli aspetti problematici che caratterizzano questa fase vi è una perdita, negli anni, in termini di equità, confermata dal progressivo spostamento della domanda verso il privato per ovviare ai troppo lunghi tempi di attesa e alla progressiva sfiducia nel servizio pubblico.

L’ultimo riferimento è al saggio di Vincenzo Paglia, presidente della «Pontificia Accademia per la Vita» che ha affrontato spesso nei suoi libri il tema della disuguaglianza che colpisce le classi sociali più povere. Questo suo ultimo libro si intitola La forza della fragilità (Laterza, pp. 119, euro 14).

RICONOSCERE la nostra comune fragilità appare una straordinaria opportunità per ricomprendere la nostra comune umanità. «Siamo tutti radicalmente fragili – si legge nella prefazione del libro – ma è dalla consapevolezza di questa comune vulnerabilità che si possono rifondare le basi della convivenza tra gli uomini. La recente emergenza sanitaria ha messo tutti noi di fronte a una verità ovvia, ma che evidentemente preferivamo ignorare: nonostante il progresso e i risultati straordinari della scienza e della tecnologia, rimaniamo esseri fragili. Anche nei paesi più ricchi può manifestarsi l’imprevisto assoluto di una vulnerabilità che si carica di sofferenza». Tra le persone più fragili vanno incluse quelle più anziane che la nostra società tende purtroppo sempre più spesso a emarginare e a relegare in strutture ad esse dedicate. E ancora non poteva mancare il riferimento alla pandemia.
Scrive Paglia: «L’età media dei decessi da covid-19 si aggira, con qualche lieve differenza per area geografica, intorno agli 80 anni». Il fattore demografico ha giocato un ruolo importantissimo nel determinare l’alto tasso di letalità, soprattutto per la nostra incapacità di proteggere quella che rappresenta la fascia più vulnerabile della popolazione, ovvero quella anziana, presente principalmente all’interno delle Rsa. Un filo comune tiene uniti questi tre saggi: il bisogno di un mondo più giusto, che tuteli le persone più fragili e che la medicina nel suo esercizio più vero potrebbe contribuire in maniera determinante a realizzare.