Discoverland: «Siamo fuori dagli schemi, non seguiamo mode ma idee»
Incontri
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Sempre un po’ fuori dalla pazza folla, la premiata ditta Discoverland – al secolo il duo formato da Pier Cortese e Roberto Angelini – ha sempre guardato con sospetto le logiche del pop mainstream, scegliendo strade più impervie ma stimolanti. Agli inizi il loro è un gioco di rimandi, rifacimenti e de-costruzioni di brani italiani e stranieri che hanno fatto la storia. Le loro (re)interpretazioni giocano con i paradossi e accostano universi molto differenti così da far incontrare Björk con De Andrè, Madonna con Paolo Conte. Divertimento allo stato puro. Questa volta il duo alza l’asticella come si suol dire, e si misura con otto brani originali tre dei quali vedono anche il contributo importante di Niccolò Fabi.
Ero (Audioglobe/Santeria) in uscita oggi, è un progetto audace dove l’elettronica minimale si mescola a strumenti tradizionali, ortodossi e meno, fondendosi in armonizzazioni vocali di notevole fattura, arrangiamenti sorprendenti e aperture (inusuali) in odore di progressive.
In tre canzoni la presenza di Niccolò Fabi, che li accompagna in tour
«QUANDO ci siamo rivisti per lavorare – spiegano – volevano fare degli esperimenti ancora con pezzi altrui che però non ci davano quell’entusiasmo sperato. Perché negli ultimi dieci anni il gioco delle cover è ormai diventato abbastanza diffuso. Quindi abbiamo provato vari tentativi strani, finché un giorno Pier ha l’intuizione di giocare con questo nostro sound ma con canzoni scritte ex novo. Abbiamo fatto una prima session l’estate 2023, poi si è presentato Niccolò per sentire quello che stavano facendo. E si è unito a noi, divertendosi a suonare basso, tastiera, chitarra». Così è partita la gestazione di Ero: «È nata anche l’idea di una sorta di concept: volevamo parlare di noi, da quando siamo partiti a dove eravamo arrivati adesso. E abbiamo deciso di parlare della vita e di tutte le paure ancestrali, i dubbi, la terza età e il karma. Insomma tutti argomenti che in qualche modo fanno parte un pochino di quello che è il nostro tempo. Crediamo di aver realizzato un album esattamente come immaginavamo, senza compromessi».
L’indie tranne qualche eccezione si è smarrito, è venuta meno tutta quella varietà di suoni e di parole che si sentiva vent’anni fa. Una scena scomparsa.
Un lavoro di nicchia che si scontra con il mainstream imperante: suoni omologati, durata standard dei pezzi «obbligatoriamente» di tre minuti tre perché poi ‘cala l’attenzione’ e testi perlopiù mediocri. Un pop che ha inglobato, anche l’indie ingolosito dai grandi numeri…. «Vero, è venuto meno tutta quella affascinante diversità di suoni e di parole che c’era una ventina d’anni fa, che chiaramente non faceva pop canonico ma indie. Per intenderci: se portavi 400 paganti in un locale avevi fatto il botto. Una scena scomparsa, con le dovute eccezioni: da Teatro degli orrori al Pan del Diavolo arrivando a Brunori sas che pur ampliando la platea, mantiene una scrittura personale».
La terza età è il gioiello del disco con la sua idea di narrazione dello scorrere del tempo, dell’accettazione e della ineluttabilità della morte. La presenza di Fabi è un valore aggiunto: «Abbiamo voluto attraverso delle immagini e delle parole, raccontare di come il passare degli anni ci rende magari più preparati e forti a capire delle cose ma al tempo stesso ci toglie la forza. Piccoli paradossi che abbiamo sviluppato nelle prime due strofe, poi è intervenuto Niccolò».
GLI ARRANGIAMENTI si aprono in molti frangenti a rimandi progressive. Un altro duo, Colapesce Di Martino, spesso nei brani inserisce delle partiture che possono riportare a quel periodo – i settanta – estremamente fertile per la musica leggera italiana. Ci si augura che anche altri seguano questa onda, quanto meno ci si diversifica. «Siamo d’accordo, noi li stimiamo moltissimo sono capaci di far rivivere quel tipo di cose perché sono musicisti di livello. E sono compagni di viaggio di quell’indie di cui si parlava prima. Riempivano i piccoli locali con 40 persone, quindici anni fa. Poi per loro è arrivato Sanremo con Musica leggerissima che gli ha dato tanto ma che poi li ha in qualche momento costretti a rimarcare la loro unicità nei dischi successivi. Ma vogliamo ricordare anche i Calibro 35 che per anni hanno portato in giro per il mondo una cosa che in Italia andava tanto ed è stata dimenticata. E gli I Hate my Village».
Il problema delle nuove generazioni che si affacciano nel mondo della musica è che è venuta mancare l’idea di suonare in gruppo, quello che si faceva nelle cantine o nelle sale prova dove si sperimentava. Il computer e le basi preregistrate hanno aperto nuove strade e consentito un approccio della musica a una platea certamente più estesa, ma inevitabilmente la fase compositiva diventa solipsistica…
«Va anche detto che nessuno se la rischia più, nessun produttore, nessun discografico ha voglia di proporre qualcosa di alternativo a quello che sono. Noi facciamo questo tipo di musica ma perché rischiamo in proprio». L’auto-produzione è una soluzione ma – come rimarcano molti artisti – è una fatica immane perché bisogna tenere l’asticella ben dritta. «Non è un percorso semplice, però – usiamo una metafora – se esci a un casello e prendi una strada alternativa e passi per i paesi, ti fermi. Conosci gente, guardi il panorama e la qualità della tua vita migliora parecchio e quindi diciamo che essendo passati tutti, sia io che Pier e anche Nicolò, se vuoi anche Nicolò attraverso quel tipo di cose, poi è stato tutto un cercare di crearsi un habitat felice intorno. Ovvero avere degli amici, frequentare persone carine e avere anche un pubblico bello, cioè la maggior parte di persone che negli ultimi anni ci vengono a sentire o magari ti fermano per farti un complimento. Sono persone con cui berrei volentieri una birra. A differenza di prima, dove quasi tendevi a fuggire dalla gente perché ne avevi paura…».
NEL BRANO che chiude il disco, Aldilà, si sottolinea che l’amore è forse l’unica risposta convincente che ci ha permesso di arrivare fin qui. Chiosa sentimentale? «Sì, ma di fatto, se ci pensiamo bene a fondo, in tutto il cataclisma di domande, traffico di pensieri, di incertezze, di appigli religiosi, fedi non fedi, resta il sentimento. Fondamentalmente il bacio – nel testo – rappresenta un po’ l’atto creativo dell’amore quindi l’unica via di possibilità di rimanere ancora in vita nonostante tutto». Il tour in partenza il 3 ottobre dal Santeria di Milano (altre date Bologna il 4, Roma il 10, Napoli il 17), vede la presenza costante di Niccolò Fabi. «Eccezionalmente per questi due mesi siamo un trio. Dopodiché ritorneremo duo e Niccolò si rimetterà a fare il cantautore e a finalizzare il suo prossimo disco. Ci siamo fatti questa promessa mentre lavoravamo al disco. Da più di dieci anni siamo al servizio amichevole e professionale del percorso di Niccolò».
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