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Disastro Ilva, 47 rinviati a g iudizio

Disastro Ilva, 47 rinviati a g iudizioIlva di Taranto – Andrea Sabbadini

Taranto Per la Procura, un’associazione a delinquere: la famiglia Riva, i dirigenti dell’impianto, l’ex prefetto Ferrante. Ma in aula ad ottobre imputati anche politici e amministratori

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 24 luglio 2015

È giunta ad un punto di svolta l’inchiesta «Ambiente Svenduto» sull’Ilva di Taranto: ieri il giudice per le udienze preliminari, Vilma Gilli, ha accolto tutte le 47 richieste di rinvio a giudizio presentate dalla Procura sul presunto disastro ambientale provocato dallo stabilimento siderurgico, con annessa omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro e avvelenamento delle acque e di sostanze alimentari.
Questi i reati più gravi che sono contestati a Nicola e Fabio Riva, figli dell’ex patron Emilio Riva (deceduto lo scorso aprile), all’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso, all’ex responsabile delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà, all’avvocato del Gruppo Riva Franco Perli, all’ex presidente del cda dell’Ilva ed ex prefetto di Milano Bruno Ferrante, e ai cinque fiduciari che per la Procura costituivano il «governo ombra» del siderurgico: Lanfranco Legnani, Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli, Agostino Pastorino ed Enrico Bessone.

Per tutti l’accusa, gravissima, è di associazione a delinquere: per la Procura avrebbero agito per controllare «l’emissione di provvedimenti autorizzativi nei confronti dello stabilimento Ilva» e «consentire al predetto stabilimento la prosecuzione dell’attività produttiva». Secondo le perizie redatte dagli esperti chimici (che quantificarono in 688 tonnellate l’anno di polveri immesse in atmosfera senza il rispetto di alcun limite di legge) ed epidemiologi nominati dal tribunale di Taranto, hanno causato dal 1998 al 2010 ben 368 decessi.

La continua emissione di sostanze nocive per la Procura è avvenuta con «piena consapevolezza», determinando un «gravissimo pericolo per la salute pubblica» causando «eventi di malattia e morte nella popolazione», mettendo a rischio la salute di lavoratori e cittadini, ed avvelenando i terreni su cui pascolavano greggi di pecore e le acque in cui si allevavano le cozze di Taranto. Nelle fascicolo dell’inchiesta figurano anche le riprese video effettuate dai carabinieri del Noe di Lecce nel periodo maggio-giugno 2011 che consigliarono alla Procura di arrestare la marcia degli impianti già all’epoca.

Dei 47 rinvii a giudizio, tre riguardano le società Ilva Spa (in amministrazione straordinaria dopo due anni di commissariamento), la Riva Fire (l’ex holding di famiglia mandata in liquidazione a febbraio) e la Riva Forni Elettrici (società nata nel gennaio 2013). Gli altri sono tutti esponenti istituzionali: secondo la Procura avrebbero consentito all’Ilva di causare il disastro ambientale, non intervenendo a dovere e per tempo, ed addirittura risultando complici del sistema clientelare e di potere messo in piedi dall’azienda.

A cominciare dall’ex governatore Nichi Vendola: secondo l’accusa, avrebbe esercitato pressioni sul direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato (a sua volta rinviato a giudizio per favoreggiamento personale), per «ammorbidire» la posizione dell’Agenzia regionale nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’Ilva. In questo modo, sostiene la Procura, Vendola avrebbe consentito all’azienda di continuare a produrre senza ridurre le emissioni inquinanti, come invece suggerito dall’Arpa nella nota del 21 giugno 2010 stilata dopo la campionatura che aveva rilevato i picchi di inquinamento prodotti dalle cokeria Ilva.

Sempre secondo l’accusa, Vendola avrebbe «minacciato» la non riconferma di Assennato, il cui mandato scadeva nel febbraio 2011. I fatti contestati sono risalgono al periodo dal 22 giugno 2010 al 28 marzo 2011.

Rinviato a giudizio anche l’attuale sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno, accusato di abuso d’ufficio: i pm contestano al sindaco «di aver omesso di fare delle ordinanze contingibili ed urgenti» a tutela dell’ambiente e della salute pubblica. È invece accusato di concussione l’ex presidente della Provincia, Gianni Florido, anch’egli rinviato a giudizio: secondo l’accusa avrebbe fatto pressioni sui dirigenti del settore Ambiente dell’ente per concedere l’autorizzazione alla costruzione e all’utilizzo di discariche all’interno dell’Ilva (stesso reato contestato all’ex assessore Michele Conserva). Rinviati a giudizio, tra gli altri, anche il parlamentare di Sel Nicola Fratoianni (all’epoca assessore regionale) e il consigliere regionale del Pd Donato Pontassuglia.

Tre gli assolti: l’ex assessore regionale all’Ambiente Lorenzo Nicastro, il carabiniere in servizio alla sezione di polizia giudiziaria della Procura Giovanni Bardaro e l’avvocato Donato Perrini. Condannati il sacerdote don Marco Gerardo e Roberto Primerano, già consulente della procura. Al sacerdote, accusato di favoreggiamento personale, inflitti 10 mesi di reclusione (stessa richiesta della Procura); Primerano, invece, è stato condannato a 3 anni e 4 mesi per falso ideologico.

Ad ottobre partirà il processo vero e proprio. E in sede di dibattimento ci sarà una battaglia ancora più dura tra le parti. La giustizia – prima o poi – si spera arriverà.

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